07/07/2009

Tonino Cantelmi, editoriale per Scienza e Vita (Newsletter n. 24, 2009)

LIBERI PER VIVERE 2 Lo psichiatra Tonino Cantelmi a confronto col Manifesto .scienza e vita - newsletter n. 24 - maggio 2009

LIBERARE LA SPERANZA PER LIBERARE LA VITA  di Tonino Cantelmi* Liberare la speranza per liberare la vita: come è noto molti studi indicano nellaTonino Cantelmi hopelessness (mancanza di speranza) la radice della depressione e di molti comportamenti suicidali connessi con gli stati depressivi. Le osservazioni inerenti la psicologia della speranza concordano sul “bisogno” di speranza come elemento fondamentale perché la persona umana funzioni e persino resti in vita. Anche le ricerche sui campi di concentramento e sui campi di prigionia testimoniano che il semplice fatto della sopravvivenza richiede “speranza”. I prigionieri di guerra americani morti per “hopelessness” nei campi giapponesi, testimoniano brutalmente che anche per restare viva la persona deve sperare. D’altro canto numerose osservazioni scientifiche sottolineano come la hopefulness (la ricchezza di speranza) sia correlata alla vita e costituisca un deterrente alla malattia e alla morte. Dunque non abbiamo che una possibilità: liberare la speranza per liberare la vita. E’ per questo, a mio avviso, che il Manifesto “Liberi per vivere” può affermare che “l’uomo è per la vita”. In questa affermazione, straordinaria e formidabile, si radica un’autentica cultura della speranza. Occorre inoltre considerare che la speranza è una funzione psicologica che si costruisce all’interno delle relazioni primarie di ogni individuo: la speranza cioè ha un’ampia componente interpersonale. Noi possiamo innanzitutto sperare qualcosa per qualcun altro e non solo, ma sperare significa anche aver fiducia che qualcuno si prenda cura di noi in ogni situazione. La speranza è dunque una dimensione relazionale della persona,oltre che una disposizione intrapsichica. Infatti la hopelessness, nel caso per esempio della persona depressa, si associa alla helplessness (senso di inaiutabilità), dando vita ad una tragica combinazione di dolore, di isolamento, di disperazione e di solitudine. Speranza ed aiutabilità sono dimensioni interpersonali che ci consentono così di affrontare la vita. Per questo, penso, il Manifesto fa riferimento ad una “rete di relazioni” e lancia un grido ineludibile: “chi sta male… chiede soprattutto di non essere lasciato solo”. Infine la speranza, come canta Shakespeare in Riccardo III, ha una funzione trasformativa: “True hope is swift and flies with swallow’s wings: kings it makes gods and meaner creatures kings”. La speranza è raffigurata “veloce” come il volo della rondine e soprattutto capace di trasformare i re in numi e le creature più umili in re. La dimensione trasformativa della speranza lascia intendere la possibilità che ogni condizione possa subire trasformazioni di senso e di significato. In altri termini, come osserva in un bel saggio lo psicologo gesuita Healy (1), la speranza rimanda a un oltre, a un futuro e forse a un mistero che oltrepassa l’orizzonte della singola persona. Perciò a mio parere il Manifesto conclude con grande forza affermando che “solo amando la vita di ciascuno sino alla fine c’è speranza di futuro per tutti”. Questo Manifesto si colloca nella cultura della speranza, che è alla base della cultura della vita. Alcune culture, che affermano il “diritto del morire”, sembrano invece rifiutare ogni speranza, cedendo al fascino di una sorta di cinismo cieco. Liberare la speranza per liberare la vita significa dunque opporsi al cieco cinismo di quanti vogliono uccidere la speranza e con essa la vita. * Psichiatra, psicoterapeuta (1) “Le dinamiche della speranza”, di Healy T., in “Antropologia della vocazione cristiana”, EDB, 1997 FONTE: Newsletter di Scienza & Vita n° 24 27 maggio 2009