26/09/2009

Sfida educativa - L'uso del no e del sì (SIR)

Il Rapporto-proposta e la "credibilità degli educatori" Qual è oggi il volto degli educatori? Il SIR ne ha parlato con Tonino Cantelmi, presidente dall'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (Aippc) ed esperto di questioni giovanili. Sfida educativa - SIR 25 settembre 2009

All'interno di una concezione di educazione intesa come "processo umano globale e primordiale" entra in gioco la "credibilità degli educatori", ha osservato il card. Camillo Ruini, presidente del Comitato per il progetto culturale della Conferenza episcopale italiana, presentando il 22 settembre a Roma il Rapporto-proposta della Cei "La sfida educativa". Ma qual è oggi il volto degli educatori? Il SIR ne ha parlato con Tonino Cantelmi, presidente dall'Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Aippc) ed esperto di questioni giovanili. Sembra che insegnanti e genitori non sappiano più trasmettere - o a volte addirittura rinneghino - valori e norme di cui un tempo si facevano interpreti… "Oggi si è accreditata una sorta di educatore fragile, quasi un fratello maggiore o un accompagnatore che accudisce i giovani ma non è in grado di trasmettere loro assetti valoriali. Genitori, insegnanti e educatori non sanno più essere maestri di vita. Una tendenza che è urgente invertire: l'emergenza educativa richiede anzitutto educatori forti, in grado di intervenire concretamente con la propria esperienza e convinta testimonianza nella vita dei giovani". I ragazzi hanno dunque bisogno di qualcuno che sia anche testimone di certezze? "Sì, per diventare grandi e maturare le proprie scelte devono ricevere proposte forti con cui confrontarsi: per accoglierle oppure contestarle e opporvisi. Solo così i giovani hanno la possibilità di misurarsi e crescere; se viceversa avvertono la fragilità e l'insicurezza degli adulti di riferimento, ai ragazzi rimane la possibilità di confrontarsi unicamente con se stessi. Non a caso oggi le comunità dei giovanissimi sono autoreferenziate: non fanno riferimento a modelli adulti ma unicamente a modelli che si costruiscono tra loro, e i ragazzi sono in qualche modo costretti a compiere da soli anche le scelte più impegnative e significative per la loro esistenza. Oggi, paradossalmente, i nuovi educatori sono gli psicoterapeuti e in alcuni casi l'educazione diventa cura, terapia". È una provocazione? "Assolutamente no. Vengono spesso da me genitori che non riescono a gestire il rapporto con figli adolescenti o anche più piccoli: ragazzi perfettamente sani ma incontenibili e privi di regole ai quali i genitori non sanno imporre norme e divieti. Nella mia attività professionale sperimento quanto il non sapere fare i conti con il sì o il no da dire ai figli sia un problema molto diffuso tra gli adulti". Che cosa si è smarrito? "In primo luogo i valori sui quali, lo sappiamo, oggi c'è molta incertezza, ma anche la capacità di narrazione. I nostri figli non sanno più la nostra storia, il vissuto della nostra famiglia che è anche la loro, vivono come staccati dalle proprie radici. Eppure i bambini avrebbero desiderio di questa esperienza. Purtroppo non ci si pensa, e c'è ancora scarsa consapevolezza che l'impegno educativo dovrebbe essere concentrato nelle prime fasi della vita, quando però i genitori sono spesso impegnati nell'affermazione di sé e quindi poco presenti. È possibile lavorare sui ragazzi fino a 10-12 anni". Chi può formare gli educatori e come? "Un paio d'anni fa ho promosso una scuola per genitori. Moltissimi i partecipanti: spaesati e disorientati. Parlando della frustrazione del bambino è emerso il diffuso sconcerto - e disaccordo - sull'uso del no e del sì, questione che crea conflitti anche all'interno della coppia. Più che valori, occorre offrire agli educatori i criteri per l'uso del no e del sì, il coraggio e la forza di essere se stessi fino in fondo nelle proprie scelte da trasmettere ai giovani, ed è necessario incoraggiare il recupero del racconto della storia della propria vita. Chi siamo, da dove veniamo, per che cosa abbiamo lottato e sofferto: la relazione con l'educando non deve essere asettica. Il genitore, ma in generale ogni educatore, deve offrire la propria persona, mettersi in gioco nella relazione, stare «tutto intero» dentro il rapporto con il giovane. L'educazione è una relazione di amore e fiducia reciproci, all'interno della quale l'educatore deve sapersi assumere la responsabilità di guida". Quale il ruolo della Chiesa? "Partendo dal territorio, ossia dalle parrocchie, la Chiesa potrebbe lanciare la sfida di un'alleanza con tutte le agenzie educative - famiglia, scuola, associazioni e mondo dello sport - non solo per educare ma anzitutto per elaborare un progetto educativo concertato e unitario, che superi l'attuale frammentarietà e contradditorietà dei contenuti. Oltre che sulla Chiesa e sulla scuola, a mio avviso occorre puntare sul ruolo delle associazioni di volontariato, in grado di proporre concrete esperienze di vita buona, e sullo sport". Perché lo sport? "Perché è scuola di vita: insegna che per ottenere un traguardo occorrono impegno, disciplina, tenacia e sacrificio; insegna a vincere e a perdere, e mi sembra che oggi sia l'unica grande realtà in grado di unire giovani e adulti. Per questo può divenire efficace veicolo di comunicazione tra le generazioni. Anche l'allenatore, oltre al genitore, all'animatore a all'insegnante, potrebbe costituire una significativa figura di riferimento". A cura di Giovanna Pasqualin Traversa   FONTE: SIR (Servizio Informazione Religiosa) 25 settembre 2009