09/06/2009

Prof. Cantelmi su FareFuturo - Ragazzi prigionieri del virtuale

"Avere un avatar può quindi significare avere la possibilità di costruirsi un alter ego virtuale in grado di esaudire il bisogno di presenza e appartenenza. Ma quali sono i rischi per gli adolescenti di un abuso delle nuove tecnologie?".  Tonino Cantelmi risponde alle domande.  logo webmagazine 

Il nuovo mondo dei "nativi digitali" di Mario Masi  Il progresso tecnologico comporta una rapidità di consumo che abolisce ogni tipo di ritualità. I rapporti convenzionali richiedono invece tempo, frequentazione, stabilità. Quando il Piccolo Principe di Saint-Exupéry chiede «vieni a giocare con me», la volpe risponde «non posso giocare con te, non sono addomesticata». «Cosa bisogna fare?» domanda il Piccolo Principe, «bisogna essere molto pazienti. In principio tu ti siederai lontano da me…Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…». Come mai i bambini si abituano precocemente a manipolare se stessi nel mondo virtuale? Da questo rapporto spesso talmente simbiotico con la virtualità da trasformare in reality la vita di tutti i giorni prende spunto l’analisi fatta da Maria Rita Parsi, Tonino Cantelmi e Francesca Orlando - una psicoterapeuta, uno psichiatra e una psicologa - nel loro L’immaginario prigioniero. Spiega Tonino Cantelmi: «La tecnomediazione della relazione è estremamente affascinante e questo spiega il successo di Msn e di Facebook. Il concetto stesso di amicizia, come già quello di amore, si è virtualizzato. Per i sociologi non possiamo avere che poche amicizie reali, con Facebook abbiamo centinaia di amicizie virtuali». «I "nativi digitali" – continua Cantelmi - sono predisposti a un formidabile adattamento alla tecnomediazione della relazione e della realtà. Un esempio è dato da Youtube: ciò che avviene è reale solo se sta su Youtube. Altrimente, nella logica dei nativi digitali, quel fatto non esiste». Il rischio quindi è che i bambini crescano diseducati alla vita reale, alla socializzazione e ai suoi processi. Ma esistono anche effetti positivi: internet e i videogiochi possono rappresentare una straordinaria finestra attraverso la quale gli adolescenti prendono contatto con i loro avatar, creano delle identità fluide e multiple, consentendo al proprio io di accedere a elaborare i propri molti sé; possono far viaggiare le idee a una velocità incredibile, avere conoscenze e informazioni pressoché infinite, vivere emozioni affascinati e conoscere tante persone. Lo psicologo americano Stanley Hall considerava l’adolescenza una nuova nascita che passa attraverso un rinnovamento radicale di tutti gli aspetti della personalità. Questa fase della vita è ricca di stimoli fisici e afflizioni mentali. All'adolescente viene chiesto di abbandonare le proprie pretese infantili di gratificazione del tutto e subito e di deresponsabilizzazione. Avere un avatar può quindi significare avere la possibilità di costruirsi un alter ego virtuale in grado di esaudire il bisogno di presenza e appartenenza. Ma quali sono i rischi per gli adolescenti di un abuso delle nuove tecnologie? «I rischi sono tre - spiega Cantelmi - la possibile prevalenza del virtuale sul reale, con il conseguente disadattamento alla vita reale e il superadattamento alla fascinazione dei mondi virtuali; il prevalere dell'apprendimento percettivo su quello simbolico, con conseguente deficit delle capacità simboliche; il prevalere della virtualizzazione delle emozioni, cosicché i "nativi digitali" sapranno ben rappresentare emozioni con sms o altro, ma non viverle». I bambini delle precedenti generazioni hanno socializzato attraverso giochi fondati su destrezza e agilità, i bambini di oggi trascorrono il proprio tempo libero nelle proprie case con  giochi sedentari, videogiochi o davanti alla tv. Come influisce tutto ciò nella loro crescita? «Quando videogioca - commenta Maria Rita Parsi - il bambino agisce e interagisce, seppure in maniera illusoria, all’interno di scenari che sono stati pensati per “eccitarlo”, stimolando dipendenze, un continuo accumulo di tensione che, poi, si traduce in subitanei acting out. Questo non rende possibile forme di elaborazione o di valorizzazione della creatività con tutta la fatica dei passaggi e delle prove necessari per crescere. Così, il bambino s’ingozza, spesso in solitudine, di immagini per poi o rovesciarle fuori con violenza poiché non ne sopporta la pressione o subirle, implodendo depressivamente. Ecco, allora, la spiegazione di molte manifestazioni di stress, certi incubi, certe paure, certe tensioni». Ci avviamo probabilmente quindi verso una società che predilige l’interattività all’interazione. La relazione tecnomediata è più facile, più narcisistica, ci consente di nascondere a noi stessi le parti che non ci piacciono ed è molto emozionante, per questo appare come una sorta di "via breve" verso la felicità. La relazione interpersonale è faticosa, ci chiede di metterci in gioco, ma si svela a noi stessi nel bene e nel male, ci rende più consapevoli e ci fa crescere. «Altrettanto fuori da ogni dubbio - conclude Maria Rita Parsi - è che ci troviamo ancora di fronte a un gap generazionale di  memorabile portata, una frattura  culturale impensabile soltanto fino a pochi anni fa, relativa, appunto, alle modalità di comunicazione  tra adulti, genitori, educatori, insegnanti, operatori della comunicazione  e i ragazzi "nati digitando", il cui immaginario si è formato a partire, anche  e soprattutto, da una versione televisiva della realtà». La vera scommessa è quindi sulla capacità di educare gli adolescenti a vivere su due registri, quello reale e quello virtuale, mantenendo un equilibrio efficace, facendo in modo che non rimangano intrappolati nel virtuale senza alcuna mediazione adulta né gruppale. di Mario Masi (26/05/2009) WEB MAGAZINE - periodico della Fondazione Farefuturo