29/07/2020
Omosessuali e vocazioni. Quale strada è possibile?
Fonte: Avvenire del 29/07/2020
Chiara D’Urbano, psicologa e psicoterapeuta, perito dei Tribunali del Vicariato di Roma, lavora da molti anni in ambito vocazionale. Sta accanto ai seminaristi, ai sacerdoti, alle consacrate che hanno la necessità di verificare l’equilibrio e la maturità della propria identità sessuale. Ma affianca anche i formatori che desiderano un contributo per comprendere meglio le dinamiche psicologiche di un candidato al sacerdozio o alla vita consacrata. Compito delicatissimo, spesso denso di profonde sofferenze interiori, soprattutto quando l’accompagnamento riguarda giovani che, accanto a un sincero desiderio di avviarsi al sacerdozio, “temono” anche di avere un orientamento omosessuale. “Temono”, antropologicamente scorretto, è però il verbo giusto perché – come conferma l’esperta – oggi un seminarista rivela con grande incertezza le difficoltà connesse al proprio orientamento sessuale per il rischio di essere frainteso ed escluso. «Qualche giovane sacerdote, con tutte le garanzie di riservatezza – osserva Chiara D’Urbano – comincia a raccontarsi in modo più trasparente e anche alcuni vescovi decidono che candidati con dichiarate tendenze omosessuali possano avviare un percorso di discernimento.
Ma non sono casi numerosi». Le difficoltà? Culturali e normative. Il pensiero ancora dominante, che però nessuno ammette apertamente, tratteggia la persona omosessuale come incapace di un amore fedele, esclusivo, generoso. Soprattutto se questo amore dev’essere oblativo e casto nel segno della carità evangelica, come appunto quello di un prete. Convinzione largamente diffusa anche nella Chiesa, anche se la maggior parte delle diocesi prevede percorsi di accompagnamento vocazionale finalizzati a verificare, tra l’altro, l’equilibrio affettivo dei candidati. Valutazione improba che deve tenere conto della complessità della formazione umana e spirituale della persona. Per offrire ai formatori una guida in grado di agevolare la comprensione dell’orientamento sessuale, D’Urbano ha scritto un saggio – Percorsi vocazionali e omosessualità (Città Nuova; pagine 209; euro 17) – da pochi giorni in libreria, che si propone di fornire alcune chiavi interpretative, non certo di risolvere aspetti con cui la Chiesa sta facendo i conti in modo trasparente da pochi anni. «Quella omosessuale – riprende l’esperta – è una condizione vissuta sempre con grande imbarazzo. Perché, soprattutto in chiave vocazionale, il candidato al sacerdozio o alla vita consacrata, fa sempre molta fatica a collocare questa dimensione. E la stessa difficoltà è vissuta da educatori e formatori». Da parte del giovane il dubbio è sempre lo stesso: devo dirlo? Ma a chi? E quando? Mentre educatori e formatori hanno spesso come primo obiettivo quello di non creare problemi aggiuntivi ai tanti che già incombono.
E, soprattutto, trovano difficoltoso individuare spiragli di manovra tra l’esigenza di accompagnare nel discernimento una persona che chiede di essere accolta e quanto si dice nei documenti del Magistero. Come è noto, sia l’Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (2005), sia la Ratio Fundamentalis Istitutiones Sacerdotalis della Congregazione per il clero (2016), spiegano che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate e sostengono la cosiddetta cultura gay».
Mentre le tendenze omosessuali transitorie devono essere superate tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Formulazioni – hanno osservato vari specialisti – forse troppo sintetiche per fotografare una complessità in cui non è mai agevole avventurarsi. «Come intendere radicalità profonda e transitorietà di un orientamento sessuale? Quali sono i segni per distinguere l’una e l’altra?», si chiede la psicologa.
Nella prefazione al libro, don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionali vocazioni della Cei, scrive che «fermarsi sulle questioni importanti è difficile se sorge il dubbio di trovarsi sotto giudizio o sbagliati perché non rispondenti a una forma. Fermarsi è necessario, anche nello scorrere le pagine di questo libro, nelle quali il lettore potrà percepire la tensione tipica dello studio, capace di incoraggiare le diverse sensibilità ma anche di far gustare quel prudente disequilibrio necessario per compiere passi in un terreno ancora inesplorato». Quale potrebbe essere il “prudente disequilibrio” a cui accenna con cautela don Gianola? Lo spiega nella postfazione Tonino Cantelmi, docente alla Gregoriana e presidente dell’Associazione psicologi e psichiatri cattolici: «Le acquisizioni scientifiche hanno diritto di cittadinanza relativamente al tema delle vocazione». E anche se alcuni contributi scientifici sull’omosessualità sono complessi, a volte influenzati da ragioni ideologiche, «tuttavia la comunità scientifica, sia pure tra mille contraddizioni – prosegue Cantelmi – ha effettuato un percorso di depatologizzazione dell’omosessualità. È con questo dato che dobbiamo fare i conti». Certo, per integrare acquisizioni scientifiche sull’omosessualità e indicazioni vocazionali servono formatori davvero preparati, che al momento non sembrano così numerosi. Ma non bisogna arrendersi. «Non c’è dubbio che questa sfida per la Chiesa – osserva ancora l’esperto – sia una grande opportunità».