10/01/2014
Educare al maschile e al femminile
Fonte: Faes - Gennaio 2014 - È da poco uscito, per le edizioni Paoline, un interessante saggio che analizza, con rigore universitario e molti studi sul campo, l’educazione differenziata per sesso. Si sta parlando anche di educazione omogenea scolastica, più in generale dell’educazione della persona e della personalità. Il saggio è firmato da Marco Scicchitano, psicologo e psicoterapeuta, ricercatore clinico presso l’ITCI di Roma e da Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, docente presso la LUMSA e presso la Pontificia Università Gregoriana. Cantelmi è stato il primo ricercatore italiano ad occuparsi dell’impatto della tecnologia digitale sullo sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini.
Abbiamo rivolto alcune domande al dr. Scicchitano sull’argomento e ne è nata questa interessantissima conversazione che vi proponiamo nell’attesa di avere la possibilità di invitare i due autori, del testo Educare al femminile e al maschile, ad un incontro presso il Faes. Da dove nasce lo spunto per il vostro studio? C’è davvero una differenza tra il modo di essere e apprendere di maschi e femmine? Sia io che il Prof. Cantelmi siamo clinici, lavoriamo molto in contatto stretto con le persone che si rivolgono a noi presentandosi con il loro modo di vivere ed affrontare i problemi, le loro relazioni e la loro storia. Una disposizione importante per essere un buon clinico, come noi cerchiamo di essere, è quella di avere la capacità di “decentrarsi”, uscire dal proprio modo di essere e dai propri schemi mentali e cercare di entrare in contatto il più possibile con l’unicità irripetibile che è la persona che di volta in volta ci troviamo di fronte. Capire le sue peculiarità originali e le caratteristiche che gli sono proprie è il modo concreto in cui manifestiamo concretamente l’accoglienza: “ac-cogliendo” la ricchezza di cui è portatrice. Nel nostro lavoro abbiamo imparato a svincolarci dagli schemi preconfezionati e mantenere uno sguardo il più possibile “pulito” e scevro dai condizionamenti che derivano dalle posizioni ideologiche. In questo modo è risultato evidente che ci sono delle differenze irriducibili tra maschi e femmine e che è importante tenerne conto in contesti come quello della psicoterapia, laddove ogni elemento è utile per favorire il benessere della persona. (nella foto Marco Scicchitano) Lo stesso discorso vale in contesto educativo in cui la missione degli operatori è proprio quella di valorizzare le specificità del bambino e formarlo rispettando le caratteristiche che lo contraddistinguono, tra cui c’è l’essere maschio o femmina. Nell’ambito dell’apprendimento per poter fare un buon servizio educativo al bambino bisogna tenere presente varie dimensioni della persona quali gli interessi, gli stili cognitivi, gli aspetti motivazionali. In ognuno di questi ambiti che hanno grande influenza nell’apprendimento è possibile individuare delle tipicità maschili e femminili che sarebbe utile e funzionale sfruttare a favore dei ragazzi. Spesso infatti ci siamo trovati a rispondere a domande di genitori ed insegnanti che si sono interrogati proprio su questo argomento, e, una volta sollecitati dalla casa editrice abbiamo pensato che fosse necessario dedicare un volume snello ed agile da usare come introduzione all’argomento. Ci sono studi che confermano questa posizione? Si, certo. L’impostazione che abbiamo voluto dare al libro è esattamente fondata sull’evidenza scientifica, pertanto, nel parlare della diade maschile e femminile, e della differenza e della ricchezza che la caratterizza, abbiamo fatto sostanzialmente riferimento ad articoli e contributi di natura scientifica, per lo più in campo psicologico e neurobiologico. Nel libro ne citiamo molti anche se ci siamo limitati per non dare pesantezza al volume soffermandoci soprattutto sugli ottimi contributi e spunti che abbiamo trovato nei volumi pubblicati dal pediatra e psicologo americano Leonard Sax che sono ricchi di riferimenti a studi scientifici e che consigliamo a chi volesse approfondire il tema. Comunque gli studi che attestano differenze tra maschile e femminili sono molti, ma ne citiamo uno tratto dal libro che è significativo perché prende in esame bambini neonati, sui quali è difficile immaginare influenze culturali. (nella foto Tonino Cantelmi) Nel 1980 una studentessa americana ha svolto una ricerca per verificare la correlazione tra l’ascolto di musica in bambini prematuri e migliori condizioni di crescita e sviluppo dei bambini stessi. Per appurare la veridicità dell’ipotesi fu fatta ascoltare ai bimbi musica leggera monitorando contemporaneamente i valori di crescita e sviluppo. Gli stessi valori furono registrati anche per un gruppo di controllo (bambini non esposti all’ascolto della musica), composto sempre di ventisei bambini prematuri. Al termine del periodo di osservazione si riscontrò che i bambini che avevano ascoltato la musica in culla erano cresciuti più rapidamente, avevano avuto minori complicazioni ed erano stati dimessi dall’ospedale cinque giorni prima rispetto ai bambini facenti parte del gruppo di controllo. Sax riporta nel suo Why Gender Matters, che consultando direttamente i risultati dello studio, ha notato una particolarità interessantissima che era sfuggita stranamente anche alla stessa autrice, Janel Caine. Le bambine che avevano ascoltato musica in culla avevano lasciato l’ospedale nove giorni e mezzo prima delle bambine del gruppo di controllo, mentre per i bambini maschi non era riscontrabile alcuna differenza, tra quelli che avevano ascoltato la musica in culla e quelli che non l’avevano fatto. Risultati simili, ma ancora più marcati che confermano i dati emersi nel 1980, vengono riportati in uno studio di Pediatria Neonatale, nel quale le bambine alle quali veniva sistematicamente canticchiata la ninna nanna di Brahms, al termine dell’osservazione riportavano delle condizioni cliniche per le quali venivano dimesse dall’ospedale dodici giorni prima rispetto alle bambine a cui non era stata cantata. Con i maschi non andava altrettanto bene. In media i bambini maschi che avevano ascoltato la musica non avevano lascito prima l’ospedale rispetto ai bimbi che non avevano ricevuto il trattamento. Per capire la ragione di questa differenza tanto evidente quanto apparentemente inspiegabile, non è necessario richiamare ipotesi e teorie: è sufficiente partire dalla fisiologia umana, costatando semplicemente che le bambine hanno un udito migliore per la musica, o quantomeno, per determinate frequenze. Diversi studi hanno infatti evidenziato che l’udito delle bambine è sostanzialmente più sensibile di quello dei maschi, specialmente nella gamma di frequenze che va dai 1000 ai 4000 Hz, che tra le altre cose è anche la gamma fondamentale per la discriminazione dei suoni nel linguaggio parlato. Inoltre è possibile osservare che la reazione cerebrale all’ascolto di suoni all’interno di questa gamma è nelle bambine neonate superiore a quella dei maschi anche dell’80%. Questa differenza tende ad aumentare nel corso dello sviluppo ed è stato possibile evidenziare che la superiorità femminile nell’ascolto di frequenze intorno ai 2kHz diventa maggiore con il passaggio all’adolescenza e all’età adulta. Le femmine, dunque, sentono un’importante gamma di frequenze meglio dei maschi, beneficiano dei trattamenti di musicoterapia in modo molto più evidente e hanno una migliore risposta dei maschi nel percepire il tono della voce dell’altro, come ad esempio il padre o l’insegnante in classe. Che sostegno danno le scuole single sex a questa specificità sessuale? Possono darne molto e i risultati e le evidenze scientifiche cominciano ad affiorare soprattutto nel mondo anglosassone. I dati Britannici di questo anno indicano in modo evidente che è una buona strada da percorrere dato che tra i migliori 25 istituti privati, 21 sono omogenei per sesso. Anche qui in Italia si sta muovendo qualcosa. Peri ed Anelli hanno analizzato 30 mila studenti italiani su un periodo di osservazione di quindici anni, dal 1985 al 2000. Le loro analisi hanno preso in considerazione gli stipendi, le scelte professionali e accademiche. E sono arrivati a stabilire alcune conclusioni importanti: 1. Una quota più alta di persone dello stesso sesso in classe aumenta la probabilità di scegliere facoltà che fanno guadagnare di più. Per le donne aumenta del 5-6 per cento, per gli uomini del 6-7 per cento. 2. Migliori risultati accademici e maggiore preparazione, dato che le ragazze delle scuole omogenee abbandonano più raramente l’università e tendono a laurearsi prima. Secondo il saggio appena pubblicato, che raccoglie dati e informazioni a livello statistico è più probabile che una ragazza che sia stata in una classe «ad alta percentuale femminile» scelga una facoltà come Economia o Ingegneria piuttosto che Lettere cambiando sensibilmente le sue possibilità di avere uno stipendio maggiore. Il discorso, fra l’altro, non vale solo per le donne: anche i maschi tendono a preferire facoltà che garantiscano loro un percorso professionale più soddisfacente, dal punto di vista retributivo, se nei cinque anni di liceo la percentuale di donne in classe è stata bassa. Si fa un po’ di confusione tra differenza e disuguaglianza: ci aiuta a capirne il senso? Steven Pinker, celebre psicologo e divulgatore scientifico nel libro per il quale ha vinto il premio Pulitzer, Tabula Rasa, si chiede come mai alcune frange del femminismo lottino strenuamente contro l’idea che uomini e donne siano differenti, che abbiano abilità differenti e quindi inclinazioni e propensioni specifiche. Forse, si chiede l’autore, dietro a questo accanimento contro la differenza tra maschi e femmine si nasconda il timore che «differente» corrisponda ad «ineguale» e quindi «ingiusto». Probabilmente nel movimento di conquista dei diritti civili femminili è stata fatta una sovrapposizione concettuale tra “uguaglianza di diritti” e “uguaglianza delle caratteristiche” che ha portato a distorsioni notevoli ed ora controproducenti, arrivando a negare non solo il buon senso, ma anche i dati e le ricerche scientifiche. Pinker sostiene che il femminismo di genere, nella sua lotta contro l’ineguaglianza si sia messo in rotta di collisione con la scienza, perdendo di vista i criteri di una rigorosa e serena ricerca scientifica a favore di una fervente e ideologica battaglia, e noi siamo d’accordo con lui. Come abbiamo già detto non pensiamo che differente corrisponda ad ineguale, anzi. Cogliere le caratteristiche proprie di qualsiasi cosa permette di relazionarsi con essa a partire dalle sue peculiarità, ed è, quindi, arricchente. Sapere come è fatto un oggetto ci suggerisce come trasportarlo senza danneggiarlo e conoscere le caratteristiche di una pianta, ci aiuta a curarla bene, ad avere le giuste attenzioni e a farla crescere rigogliosa e sana. Forse è proprio partendo dalle differenze specifiche che si può realizzare una uguaglianza che non sia omologazione che appiattisce ma fioritura di talenti individuali. Come si devono comportare i genitori per favorire le specificità sessuale? Una buona prassi è essere ben informati in modo da affrontare responsabilmente il compito di essere genitori, ma allo stesso tempo pronti a farsi sorprendere dalla novità che porta ogni nuova persona in modo da essere saggi e centrati sull’educando, più che sugli schemi appresi e consolidati che compongono il nostro bagaglio di esperienze e conoscenze. È importante ricordare è che le variabilità individuali sono elevatissime all’interno di un insieme di persone, per cui non abbiamo nessun problema a riconoscere che ci possono essere maschi poco attratti dal sesso, caratterialmente miti e non aggressivi, così come donne competitive ed esplorative. La persona umana è sempre talmente ricca e profonda che deve essere riconosciuta anzitutto come individuo con risorse e caratteristiche proprie ed uniche. Tuttavia, essendoci delle costanti riconoscibili, documentate che caratterizzano il maschile e il femminile, è utile stabilire quali sono e come possono essere valorizzate. L’educazione familiare ha un valore essenziale in questo processo. Ciò che va evitato è la forzatura, il cercare di piegare il dato di realtà ad esigenze ideologiche. Non ascoltare e non vedere il proprio bambino per chi è e per ciò che gli piace è una grave responsabilità. Con i comportamenti spontanei, i primi sguardi e sorrisini e gli iniziali modi di giocare i bambini esprimono quelli che sono inclinazioni e primi passi nel mondo, timidi e ancora insicuri modi di entrarci in rapporto, gemme primeve del carattere e della personalità che sarà. Il bambino deve trovare una collocazione all’interno del suo ambiente di vita e le sue spontanee e innate caratteristiche non sempre bastano a sé stesse, ma necessitano della conferma e rassicurazione da parte degli adulti di riferimento, genitori parenti ed educatori, attraverso la “validazione”. La validazione è un processo fondamentale nello sviluppo e aiuta i bambini a sviluppare un senso della propria identità integro e sicuro. Il rinforzo positivo ha in questo un ruolo fondamentale e arricchente. Nella prima infanzia è necessario che l’adulto si ponga come guida e fonte di riconoscimento delle caratteristiche del bambino e regalare macchinine ai maschi e bambole alle femmine si inscrive perfettamente in questa cornice di significato, così come giocare alla lotta con i maschi e a “mamma e figlia” con le femminucce. Sono questi dei rinforzi positivi che permettono al bambino di radicare più in profondità quelle che sono sue inclinazioni naturali e innate aiutandolo nel costruirsi la propria identità. Alcune linee di pensiero hanno ipotizzato che dovrebbe essere un dovere dell’adulto porsi come elemento neutro rispetto alla costruzione dell’identità di genere, ma questo è un grave errore pedagogico. È infinitamente più importante tutelare il ruolo di “validatore” dell’adulto rispetto all’assumere quell’atteggiamento di neutralità che avocano i sostenitori della teoria del “genere che si sceglie”. Mancare questo ruolo per esigenze di aderenza a forme ideologiche è secondo il mio punto di vista una grave responsabilità. Nel libro citiamo un caso in cui un padre ha cercato involontariamente di proporre strategie educative non consone alla figlia, e i risultati lo hanno costretto a cambiare. In una mattina fredda e uggiosa, Isabella, particolarmente assonnata e stanca, non aveva alcuna intenzione di andare a scuola, e manifestava il suo diniego con una sorta di reticenza e ostruzionismo passivo che logorava il papà già di prima mattina. Tuttavia il papà non era totalmente nuovo e impreparato a queste «giornate no» e aveva già imparato una tecnica fondamentale: al di là dell’importanza di trasmettere il senso del dovere e della responsabilità, se vuoi che un bambino ti segua, devi attrarre la sua curiosità e stimolare la sua naturale propensione al gioco. Così recuperando le sue personali esperienze di gioco, propose alla piccola di andare con la bici, spiegandole che avrebbero fatto finta di essere guerrieri con archi e frecce. Avrebbero dovuto superare ostacoli, combattere contro i nemici, evitarli, correre ed inseguire. La cosa parve funzionare, ma solo dal letto fino al parcheggio della bici, dove nuovamente Isabella aveva cominciato a fare resistenza passiva. Il padre aveva avuto allora un’illuminazione: «La bici ha freddo!» Anzi no. «Il cavallo-bici ha freddo! Poverino… e si sente solo a stare li ad aspettare tutta la notte», «vedi Isabella?» Immediatamente i lineamenti della bimba avevano cominciato a distendersi improvvisamente e lo sguardo era divenuto un po’ complice con il padre, e un po’ preoccupato per il povero cavallo-bici infreddolito e triste. E così, nel nuovo gioco, la bici che prima era solo un mezzo di trasporto tutta salti e velocità, si riempiva istantaneamente di contenuti emotivi e relazionali. Allora Isabella, gli si era avvicinata sussurrando: «Povero cavallo-bici, adesso ti do la colazione calda calda eh?». E i problemi di accompagnamento a scuola, ci racconta il padre, finirono per un bel po’ di tempo. Fonte: Faes