12/04/2008
Valori e psicoterapia (Catt. e Ps.) di T. Cantelmi - (6/8)
Cattolici e Psiche «Valori e psicoterapia» di Tonino Cantelmi Pubblicato su Psichiatri Oggi – aprile 2008, anno X, n. 2
Come affermano Houts e Graham (1985), negli ultimi anni la popolazione ha mostrato un rinnovato coinvolgimento nei tradizionali valori religiosi (Religion in America, 1981). Questo processo sembra stia avvenendo anche in psicologia. Sebbene la psicologia abbia le sue radici storiche nella filosofia e nella religione (James, 1890, 1902), nel corso del XX secolo si è concentrata sullo studio della mente, poi del comportamento, e in seguito ai substrati neuronali del comportamento. Dopo aver perso prima il suo spirito e poi la sua mente, la psicologia è gradualmente tornata allo studio della cognizione e, più recentemente, sta dimostrando segni di rinnovato interesse per la spiritualità e la religione. (Delaney, Miller e Bisonò, 2007; Miller & Delaney, 2005; Richards & Bergin, 2005). Molti studi hanno dimostrato inoltre correlazioni positive tra il coinvolgimento in una religione e la salute mentale (Gartner, Larson, & Allen, 1991; Hackney & Sanders, 2003; Koenig & Larson, 2001; Koenig, McCullough, & Larson, 2001; Larson et al., 1992; Payne, Bergin, Bielema, & Jenkins, 1991; Seybold & Hill, 2001). Coloro che frequentano regolarmente attività religiose hanno una riduzione della mortalità del 25%, anche dopo adeguati aggiustamenti relativi a variabili demografiche, socioeconomiche, relative allo stato di salute e ad altri fattori di rischio (Powell, Shahabi, & Thoresen, 2003). L’aspettativa di vita di coloro che frequentano funzioni religiose almeno una volta a settimana è di sette anni maggiore di coloro che non le frequentano (Hummer, Rogers, Nam, & Ellison, 1999). Allo stesso modo Gartner (1996) riferisce, tra gli studenti del college, una relazione negativa tra religiosità e suicidio, e tra frequentazione della chiesa e divorzio. L’introduzione nel DSM-IV dei problemi spirituali e religiosi, tra le “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, come “esperienze di disagio che riguardano perdita o messa in discussione della fede, problemi associati alla conversione ad una nuova fede, o messa in discussione di valori spirituali che non devono necessariamente essere connessi ad una chiesa o ad un’istituzione religiosa organizzata” è un riconoscimento importante in questa direzione, che va però messo in relazione in relazione ai due terzi degli psicologi clinici che riferiscono carenza di competenze personali per aiutare I clienti con questo tipo di problemi. (Shafranske & Malony, 1990). Varie ricerche hanno trovato che, relativamente alla popolazione, gli psicoterapeuti americani sono molto meno religiosi in merito ad affiliazione, frequenza, credo e valori (Beit-Hallahmi, 1977; Bergin, 1980; Bergin & Jensen, 1990; Ragan, Malony, & Beit-Hallahmi, 1980). Simili diversità tra i professionisti della salute mentale ed i pazienti in merito alla religione sono state riscontrate in Australia (Kahn & Cross, 1983) e nel Regno Unito (Neeleman & King, 1993; Smiley, 2001). Relativamente agli altri professionisti della salute mentale, gli psicologi hanno dimostrato di essere con minore probabilità sostenitori di una particolare religione (Roper Center, 1991), di essere meno probabilmente credenti in un dio trascendente, di avere livelli più bassi di partecipazione ad attività religiose, e di manifestare meno conoscenza della tradizione giudeo-cristiana (Ragan et al., 1980) Così la propria prospettiva riguardo la religione, e le proprie carenze ad essa relative, posso influire negativamente sui risultati della terapia (Hillowe, 1985; Propst et al., 1992; Shafranske & Malony, 1990; Worthington, 1988). In una ricerca recente Delaney, Miller e Bisonò (2007) hanno trovato che gli psicologi americani, relativamente alla popolazione generale, in una percentuale doppia affermano di non sostenere nessuna religione, in una percentuale tripla descrivono la religione come non importante nella loro vita, e in una percentuale cinque volte maggiore negano di credere in Dio. Con minore probabilità pregano, sono membri di congregazioni religiose e vanno in chiesa. Sembra essere un’esperienza relativamente frequente aver perso la fede in Dio ed essersi disaffezionati ad una religione istituzionale. Degli psicologi del campione che avevano creduto in Dio il 27% aveva rinunciato alla propria fede. Questa perdita di fede non è comune nella popolazione normale, nella quale avviene nel 4% delle persone. Solo gli psicologi che professano le religioni protestante o cattolica sembrano somigliare di più alle convinzioni e alla pratica religiosa della popolazione degli Stati Uniti. Queste ricerche confermano un gap più o meno consistente tra gli psicoterapeuti e la popolazione in quanto a religiosità e a partecipazione ad attività religiose. Tale divario rischia di danneggiare l’abilità di relazionarsi con i clienti religiosi e di trattarli, e ha portato alla preoccupazione che alcuni pazienti possano essere riluttanti a incontrare professionisti della salute mentale a causa del timore di come questi potrebbero rispondere ai loro valori e alle loro convinzioni religiose, o che li possano vedere come intrinsecamente patologici (Bergin, 1991; Worthington & Scott, 1983; cf. Shafranske & Malony, 1990). Questo potrebbe portare tali pazienti a chiedere aiuto e ad affidarsi a servizi di tipo religioso (Bergin, 1991; Veroff, Kulka, & Douvan, 1981). Ciò può essere particolarmente vero quando la discussione è incentrata su problematiche di natura sessuale in quanto le ricerche, già a prescindere dagli orientamenti religiosi del terapeuta e del paziente, hanno indicato che la sessualità è una delle aree principali di disaccordo, in quanto i valori dei terapeuti sono tipicamente più liberali di quelli dei clienti (es. Khan & Cross, 1983; Roman, Charles, & Karasu, 1978). Questo è quindi particolarmente vero quando abbiamo di fronte un cliente religioso. Inoltre i valori religiosi del terapeuta sembrano influire sul tipo di ipotesi che fa riguardo i problemi del paziente, in modo diverso se i valori sono o no congruenti. (Houts & Graham, 1986) Sebbene vari autori (Kelly e Strupp, 1992; Tjeltveit, 1986; Serlin, 2004) evidenzino che la similarità paziente-terapeuta riguardo i valori religiosi possa funzionare coma una variabile di collegamento, non è sempre così. Ad esempio Propst et al. (1992) trovarono che i pazienti religiosi lavoravano meglio con psicoterapeuti non religiosi che però erano stati addestrati a fornire una psicoterapia ad orientamento religioso. Rimane comunque il fatto che il tema della religiosità deve essere affrontato nei percorsi di formazione (Delaney, Miller e Bisonò, 2007, DiClemente & Delaney, 2005; Miller, 1999). Questo bisogno è stato sottolineato dalle precedenti ricerche sugli psicologi clinici che indicano come l’83% riferisca che le problematiche religiose o spirituali venivano presentate raramente o mai nella loro formazione. (Shafranske & Malony, 1990). Ad esempio dovrebbero essere affrontati i vantaggi e gli svantaggi dello svelamento dei valori dello psicoterapeuta (ad esempio attraverso il consenso informato) (Tjeltveit, 1986). Secondo Serlin (2004) dovrebbero essere trasmesse una familiarità con le differenze tra spiritualità e religione, la capacità di distinguere tra esperienze religiose e spirituali sane e patologiche, e una consapevolezza di come possono essere sia un problema che una dimensione d’aiuto in psicoterapia. Tenendo conto del rapporto tra fede e salute mentale è inoltre importante valutare la storia religiosa o spirituale dei propri clienti, la forza spirituale, i meccanismi di coping del cliente così come le relazioni utili che può instaurare nella sua comunità spirituale o religiosa. (Serlin ,2004; Miller, 1999; Gorsuch & Miller, 1999; Hill & Hood, 1999) I dati e le riflessioni fin qui delineati mettono in evidenza il rischio che molti pazienti non vengano trattati in una struttura valorialmente congeniale perché molti clinici non capiscono o non simpatizzano con il contenuto culturale della visione religiosa del mondo, ma negano la sua importanza e obbligano i pazienti in valori e strutture concettuali alieni (Bergin, 1983, 1991; Lovinger, 1984). La comprensione ed il sostegno psicologici delle diversità culturali sono stati esemplari per il rispetto della razza, del genere e dell’etnia, ma la tolleranza e l’empatia non hanno ancora raggiunto adeguatamente il paziente religioso. (Bergin, 1991)