20/01/2010
Metapsicologia cattolica: discorso di Daniele Mugnaini
Presentazione di “Metapsicologia cattolica” Prato, 11 dicembre 2009 Sono molto contento che il discorso sulla metapsicologia si faccia in un centro di bioetica. Come a dire che anche la metapsicologia ha chiare implicazioni deontologiche nell’ambito delle scienze della salute. La metapsicologia si occupa dei “principi fondamentali di natura filosofica che sottostanno a qualunque psicologia e psicoterapia”. Temi trattati dalla bioetica quali la dignità e la qualità della vita, specie in fase embrionale e in fase terminale o di malattia severa, hanno a che fare coi temi che appartengono all’ambito della metapsicologia, quali l’idea di persona, cosa si intende per realizzazione personale, cosa si ritiene essere il bene ultimo da ricercare, anche negli ambiti delle relazioni amorose, educative e di cura, specie a fronte del disagio psicologico ed esistenziale. I principi sottostanti alla metapsicologia sono spesso impliciti, in parte si rifanno ai maestri della scuola di psicologia dinamica a cui l’operatore ha aderito e in altra parte si rifanno alla visione di uomo che l’operatore ha acquisito e maturato nella propria storia personale. A nostro parere, bioetica e metapsicologia sono destinate a incontrarsi sempre più intorno ai concetti di qualità della vita e di realizzazione umana, per intrecciare il loro specifico discorso al fine di un arricchimento reciproco. Metapsicologia cattolica è come una collana di perle, perle preziose appartenenti al Magistero papale e cattolico in genere, dove si parla appunto di psicologia e di psichiatria, come di rispettabili scienze della psiche, e dove si parla di coscienza, volontà, condizionamenti e libertà, motivazione primaria, eros e agape, ricerca di senso (anche nella sofferenza), ricerca di verità e di maestri affidabili e credibili. La visione che la Chiesa ha dell’uomo è complessa, affascinante e tiene conto ragionevolmente e mirabilmente della complessità delle esperienze umane; non si perde in ragionamenti disgiunti dai problemi reali della gente. Metapsicologia cattolica è un tentativo di descrivere alla sensibilità contemporanea l’affascinante visione dell’uomo che molti uomini hanno condiviso in millenni di storia e che ha il potere di guarire tante persone dal non-senso, non raramente trasformandole in strumenti d’amore impressionante per la comunità civile. Così facendo, diventa una parola importante per tutti, credenti e non. E’ come se aprisse una breccia nel pensiero e si imponesse all’attenzione lasciando un’ampia impronta, occupando uno spazio ampio tanto quanto la metapsicologia cattolica suggerisce. La Chiesa parla di coscienza morale e interpella qualunque uomo e operatore della salute mentale: tu credi alla coscienza morale? La Chiesa parla di cuore, centro della personalità dove si gioca volontà, libertà, incontro fra autocoscienza e affettività, quindi interpella ancora: tu credi nel cuore? E così via per tutto il suo discorso. Di fronte al potere persuasivo e trasformativo dell’antropologia cattolica in tutto il corso dei due millenni, non è più ragionevole rifiutare le domande sull’esistenza dell’anima, della voce della coscienza e di Dio Amore. Non come un problema astrattamente filosofico, non come un problema sociologico, ma come un problema psicologico, o meglio metapsicologico. Non si può pensare che l’uomo possa prescindere dal darsi risposte, più o meno inconsce, nell’ambito delle ansie esistenziali di fronte ai problemi della morte e della felicità ultima. Fino ad oggi, ma in modo assai relegato alle sfere universitarie, si era posto il problema epistemologico, giungendo a delle considerazioni fondamentali che vale la pena riprendere, ampliandole però al discorso metapsicologico. Era ed è ormai evidente che nella psicologia scientifica sono sempre presenti concetti e argomentazioni che hanno una base puramente teorica, senza che vi sia la possibilità di una loro riconduzione a elementi di ordine empirico; detto diversamente è evidente che la psicologia scientifica non consiste unicamente di affermazioni sostenute, direttamente o indirettamente, da evidenze empiriche; era ed è evidente che "non si può sostenere di non possedere un'epistemologia. Chi lo sostiene ha semplicemente una cattiva epistemologia” (Bateson). Perchè tutti noi applichiamo una qualche forma di epistemologia più o meno consapevolmente alle nostre "pratiche" di psicologi. Il discorso sulla metapsicologia intende recuperare l’apporto dell’epistemologia, concentrandosi però, in modo più pragmatico e accessibile, sulle convinzioni che l’uomo ha sull’uomo (appunto la sua metapsicologia, legata inscindibilmente alla sua visione del mondo, antropologica, cosmologica e soteriologica). Entrando nel merito del discorso, come operatore, posso ad esempio materialisticamente ritenere che il sistema nervoso, in particolare il cervello, spieghi tutti i comportamenti umani (secondo un determinismo biologico, o socio-biologico), così da parlare di autodeterminazione e di libertà come di mere illusioni della coscienza, oppure posso ritenere che, all’interno dei numerosissimi e indiscussi condizionamenti biologici, psicologici e sociali, esista un sostanziale margine di autodeterminazione, esista un Io, un’autocoscienza, una libertà, che mi permette di prendere sul serio la voce della coscienza etica che in essa risuona e il mistero a cui essa protende. Oggi la Chiesa sta dicendo a tutti (si veda ad esempio il Rapporto della CEI sulla Sfida educativa) che è necessario tornare a parlare delle “strutture portanti” o dei “fondamentali” dell’essere umano, cioè della dimensione metapsicologica: la relazionalità (con il complementare, prima fra tutti tra l’uomo e la donna; o con l’autorità, come con il padre; ecc.), il bisogno di amore e di realizzazione, di relazioni comunitarie e di amicizia, la libertà (come libertà educata e libertà per aderire ai valori), la capacità di comprendere il vero e di volere il bene; in somma l’anima. E’ urgente riproporre queste dimensioni fondanti dell’uomo. Secondo punto che vorrei recuperare da ciò che la Chiesa sta dicendo da tempo. La “ricerca del vero”, propria dell’humanum, viene direzionata e investita nell’ambito della tecnoscienza (e della politica) a scapito del suo investimento tradizionale (e diremmo noi, vocazionale) in direzione delle ragioni esistenziali, valoriali e morali. Nel libretto recente “La vita è buona”, il Cardinale Angelo Scola, intervistato da Aldo Cazzullo, interviene sui temi di laicità, scienza e fede. “L’uomo postmoderno ha sostituito, come categorie dominanti, a quelle di ragione e giustizia quelle di felicità e libertà” (notate bene: concetti metapsicologici). Così plasmato dal timore del realismo superficiale e dell’acritico condizionamento culturale, l’uomo rinuncia spesso a problematizzare filosoficamente perfino l’idea stessa di felicità o di libertà, trovandosi paradossalmente vittima proprio dello stesso realismo superficiale e dell’acritico condizionamento culturale che fuggiva. E si fa sempre più persuaso “che la tecnoscienza produrrà la felicità”. Così “la tecnoscienza ha prodotto una sorta di universalismo scientifico, per cui se una cosa ha il marchio della scienza viene considerata indiscutibile” e non ci si chiede più se il marchio della scienza sia stato correttamente e onestamente applicato. Lo si ridica: “Questa è la vera ragione della globalizzazione: stiamo esportando in tutto il mondo la convinzione che la tecnoscienza produrrà la felicità”. Ma quale felicità? Allo stesso modo, la “ricerca dell’immateriale” sembra sia diventata ricerca del virtuale e, immersi come sono nella mentalità corrente, gli uomini pensano l’immateriale (e anche l’anima o lo Spirito Santo) come fenomeni virtuali, non reali appunto. Stiamo alludendo al concetto metapsicologico per cui possano esserci pulsioni di fondo (nello specifico, una ricerca del vero e una ricerca del trascendente) che possono esprimersi al meglio oppure essere ridotte e mortificate. Ridiciamocelo, oggi la tecno-scienza da una parte e le nuove tecnologie e i nuovi media dall’altra stanno riducendo e mortificando pulsioni profonde dell’uomo, che sarebbero chiamate a cercare e raggiungere Dio. Davvero a volte si ha l’impressione che, per molti, Dio sia morto nel senso che quasi non sentono di averne più bisogno e paiono “farne tranquillamente a meno”. Allora sì, il titolo “Metapsicologia cattolica” è coraggioso, proprio perché sfida una disabitudine del lettore, appunto disabituato a ciò che non è dato tecnoscientifico, o abituato piuttosto a uscire dai limiti spazio-temporali non con la riflessione e magari la preghiera e la contemplazione, quanto piuttosto con internet o il cinema. Infine Metapsicologia cattolica racconta col Magistero che cosa sia il cuore, luogo di incontro dell’affettività e della ragione. Il rapporto-proposta della CEI “Sfida educativa” spiega quanto è urgente che questo discorso sul cuore raggiunga l’uomo contemporaneo. Il nostro tempo, dice il rapporto, è connotato da un male di vivere, che si esprime in insoddisfazione, senso di vuoto esistenziale, sradicamento dai legami, senso di fragilità, precarietà delle relazioni, sfiducia in sé, un calo di desiderio e quasi un’impotenza nei confronti della trasmissione della vita, dell’educazione e dell’assunzione di responsabilità sociali, un sentirsi senza una direzione. E’ una condizione di obiettivo smarrimento, di solitudine profonda, di segreta depressione. In ogni caso l’insensatezza domina, producendo la patologia del cinismo carrierista o del conformismo gregario, del desiderio di appropriazione rapace e della violenza gratuita, oppure del rifugio in mondi allucinati. L’uomo si vive scisso fra il mondo della razionalità tecnoscientifica (dell’organizzazione del lavoro) e il mondo dell’affettività, o meglio detta l’industria dell’evasione. Il primo alla lunga diventa opaco e oppressivo, mentre la vita affettiva è concepita come senza regola, nomade e gratificante, oppure come erotismo volgare nella forma dello sfogo compensatorio e del commercio di massa. La razionalità è concepita come un freddo potere analitico e organizzatore, mentre l’affettività (vissuta a livello emotivo) è avvertita come la relazione calda con gli altri e con il mondo, ma al di fuori dell’orizzonte della ragione. E’ chiaro che questo vissuto rende l’intelligenza tutta protesa all’oggettività esteriore e alla gestione della vita, ma arida e disinteressata all’esperienza vissuta e alle questioni di senso; mentre il vissuto affettivo si riduce alla reattività emozionale, estranea alla vita dell’intelligenza, e perciò spontaneista e incontrollata, sempre più povera di valore simbolico. Si perde così il centro unitario di una personalità capace di mettersi in cammino verso la propria maturità. Manca l’esperienza di una razionalità affettiva e di un’affettività ragionevole, in cui il vissuto sia fin dall’inizio unitario e costruttivo di una personalità equilibrata. Con la Chiesa siamo qui a dire “un grande sì all’interezza dell’umano e all’ampiezza del cuore. Non in nome di una teoria, ma di un’esperienza millenaria; in nome del fatto che l’esperienza del male che mi porto dentro è stata vinta da Uno che ha dato la vita per noi. Questo porta fuori l’umano e lo esalta nella sua totalità. L’uomo di oggi rischia di sentire la Chiesa come un freno quando dimentica l’anima e con essa la totalità dell’uomo”. Un’ultima parola sull’Associazione, l’AIPPC. E’ nel discorso sul piano metapsicologico che vogliamo essere presenti come cattolici. “Il gioco democratico si impoverisce quando le persone rinunciano a mettere in campo le proprie idee”; per questo “chi, come il cattolico, è convinto che esiste la verità e che essa sia Gesù Cristo, non deve rinunciare alla sua testimonianza, sempre che questa sia senza imposizioni”. D’altra parte “è dovere di chi si professa cattolico paragonarsi lealmente e con spirito grato con l’interpretazione sulle questioni di principio indicata dal magistero”. Certo non tocca alla Chiesa determinare la forma concreta e specifica delle teorie, tecniche e prassi psicologiche; però, se una di esse mette in campo una questione di principio, allora dovrò verificare se quella rispetta o no questo principio. Giustamente non si può avere un’ingerenza che fissi dall’esterno i limiti della scienza. Ma tocca a me, in quanto uomo che pratica la scienza, riconoscere questi limiti oggettivi e per questo sarò tanto grato alla comunità e all’autorità che reggono e sorreggono la mia comprensione dell’uomo. Quale spirito, se non questo, può motivare le azioni culturali, ma anche le nostre pratiche nell’ambito della psicolgia, della psichiatria, della psicoterapia e della mediazione familiare? Quale spirito, se non questo, può motivare l’adesione alle varie esigenze deontologiche proprie delle nostre professioni? (Daniele Mugnaini) 20.12.2009 Acquista il libro € 7.90 tonino cantelmi aippc