30/01/2008

L’ideologia crea i tabù - di Tonino Cantelmi

   "L’ideologia crea i tabù" pubblicato su la Discussione del 17 gennaio 2008 di Tonino Cantelmi*

tonino_cantelmi logo_laDiscussione [...] al di là delle polemiche, non sarebbe giusto avviare una discussione, scientifica e deideologizzata?
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Grazie ad una recente polemica causata da una decina di articoli e di interviste, pubblicati con grande evidenza dal quotidiano Liberazione, tutti tesi ad accusarmi di omofobia e di aver creato una rete “clandestina” di terapeuti cattolici con la finalità di “curare” i gay, ho potuto esprimere alcune considerazioni inerenti un tema spesso sottaciuto: i cattolici e la psiche. Infatti, abbandonate le modalità istrioniche con cui Liberazione ha polemizzato con me, è nato un dibattito interessante e che si polarizza su questo quesito: gli psicologi e gli psicoterapeuti rispettano i codici valoriali dei loro pazienti credenti? Sia lo psichiatra Leonardo Ancona su Repubblica, che lo psicoanalista Claudio Risè sull’Avvenire hanno sostanzialmente confermato che in Italia più che altrove i pazienti credenti non vengono rispettati nella loro dimensione spirituale dagli psicologi e dagli psicoterapeuti. La questione omosessuale ne è l’esempio clamoroso. Come scrive Risè, perché un paziente che vive come egodistonico il proprio orientamento sessuale, anche sulla base del proprio sistema valoriale, non dovrebbe essere aiutato a mettersi in discussione e a verificare sino in fondo la propria situazione? Perché dovrebbe essere solo incoraggiato ad assumere, quasi per legge, la condizione di gay? Insomma secondo Risè l’ascolto e l’accoglienza del dolore umano hanno un grande nemico: l’ideologia, che pretende di distinguere le sofferenze giuste da quelle ingiuste. L’Ordine degli Psicologi, osserva Risè, ha immediatamente ritenuto di sostenere la polemica dell’Arcigay contro coloro che sollevano dubbi, dimenticando che il sistema classificatorio dell’OMS ancora prevede come disturbo l’orientamento sessuale egodistonico, ritenendo in questi casi che “l’individuo possa cercare un aiuto terapeutico per cambiare la propria preferenza sessuale” (ICD X – F66). Perciò alcune dichiarazioni di autorevoli esponenti dell’Ordine degli Psicologi a molti sono sembrate più un cedimento all’ideologia che una corretta valutazione scientifica. E allora, al di là delle polemiche, non sarebbe giusto avviare una discussione, questa sì, scientifica e deideologizzata? Ecco i punti che secondo me vanno messi sul tavolo. Primo: nessuna terapia “riparativa” tout court. Da tempo sostengo che il termine “riparativa” sia ideologico, come quello “affermativa”. E’ vero che il concetto di riparazione ha una lunga tradizione in ambito psicoanalitico, ma oggi ha assunto una accezione ideologica pari al concetto di terapia affermativa. Dal mio punto di vista esiste la terapia, secondo modelli convalidati scientificamente, ed esiste la domanda di psicoterapia. Esiste il lavoro di decodifica del terapeuta ed esiste il consenso del paziente. Si può discutere di questo? Secondo: nessuna diagnosi di omosessualità. Questo non vuol dire non prendere in esame quella che l’ICD-X (cioè il sistema di classificazione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) chiama “sessualità egodistonica” e la comprende nella categoria “Psychological and behavioural disorders associated with sexual development and orientation”. Attenzione! L’ICD-X (il più ufficiale e recente sistema di classificazione) chiarisce che ciò vale per tutti: eterosessuali, omosessuali e bisessuali e specifica che “l’orientamento sessuale da solo non riguarda questo disturbo”. Terzo: rispetto dei codici valoriali del paziente e della dimensione religiosa e spirituale dei pazienti. Sono stati condotti numerosi studi che evidenziano come i pazienti credenti percepiscano un senso di incomprensione per questo loro aspetto da terapeuti non credenti. Ciò genera una serie di problematiche di cui si discute in tutto il mondo, tranne che in Italia. Quarto: la presunta neutralità del terapeuta. Il concetto di neutralità è pieno di molte buone intenzioni, ma innumerevoli studi metodologici ed epistemologici dimostrano che il terapeuta non è neutrale. Sostenerne la neutralità è semplicemente antiscientifico. E allora: non è forse più etico (ma direi semplicemente onesto) dichiarare le premesse antropologiche ed i presupposti epistemologici che sono dietro ogni modello terapeutico? Mi auguro che si possa avviare un dibattito sempre meno pervaso da componenti ideologiche e che qualcuno voglia cominciare a porsi la questione: che vuol dire in psicoterapia rispetto del codice valoriale del paziente? *Tonino Cantelmi Presidente (Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici)