12/04/2008
La posizione dell’Ordine degli Psicologi (Catt. e Ps.) di T. Cantelmi - (3/8)
Cattolici e Psiche «La posizione dell'Ordine degli Psicologi» di Tonino Cantelmi Pubblicato su Psichiatri Oggi – aprile 2008, anno X, n. 2
In merito alla questione sollevata dall’articolo di Liberazione, il Presidente dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, in un documento (a titolo personale? elaborato da una commissione? approvato da chi?) dell’8 gennaio 2008, afferma: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto […] all’autodeterminazione […] di chi si avvale delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, […] sesso di appartenenza, orientamento sessuale” e conclude “E’ evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna “terapia riparativa” dell’orientamento sessuale di una persona” (Palma, 2008). Per la verità si tratta di affermazioni generiche e piuttosto condivisibili, come ho pubblicamente affermato, però facilmente strumentalizzabili dato il contesto. Infatti Liberazione titola il giorno seguente: “L’Ordine degli Psicologi condanna Cantelmi”. Non mi sono accorto di essere stato processato e condannato (in contumacia?). Ovviamente il Presidente dell’Ordine degli psicologi non c’entra con i titoli strumentali e falsi di Liberazione, però non se la è sentita di smentire Liberazione e di precisare che la sua dichiarazione, benché di buon senso, non era una sentenza nei miei confronti., mostrando così sollecitudini a velocità variabile. Lo psicoanalista Claudio Risé, sull’Avvenire del 15 gennaio 2008, afferma: <<come si concilia il “diritto all’autodeterminazione e all’autonomia del paziente” col rifiuto di terapie che accolgano il bisogno che egli esprima di modificare il proprio orientamento sessuale? Se una persona credente, con tendenze omosessuali, si rivolge ad un terapeuta perché queste gli causano disagio, lo psicologo può derogare al rispetto di “opinioni e credenze”? In quel caso non rispettando, cioè, la sua fede religiosa, perché ha un orientamento omosessuale>>. Tale domanda, ad oggi, non ha ottenuto ancora nessuna risposta, lasciando aperto il problema del rispetto dei valori religiosi del paziente, del quale mi occuperò in seguito. Anche l’Ordine Degli Psicologi del Lazio, prima attraverso le dichiarazioni del suo Presidente, Marialori Zaccaria, e poi in una Newsletter inviata ai suoi iscritti, ha preso posizione in merito. Sulle pagine di Liberazione del 27 dicembre 2007 la dott.ssa Zaccaria afferma “Leggendo l’inchiesta di Liberazione emerge uno spaccato che va contro il codice deontologico della nostra professione. […] Le terapie riparative non esistono. E’ come se un eterosessuale seguisse corsi terapeutici per diventare omosessuale. L’articolo 4 del nostro codice disciplinare parla chiaro: lo psicologo deve rispettare il diritto del paziente astenendosi dall’imporre il proprio codice di valori. Insomma, non deve esserci alcuna discriminazione in base alla religione, l’etnia, l’estrazione sociale, lo stato socio-economico, il sesso, l’orientamento sessuale e la disabilità. […] Accerteremo senz’altro eventuali responsabilità. […] Voglio però ribadire che la “terapia riparativa” dell’omosessualità non esiste. […] Chi dice il contrario dice una falsità scientifica e noi interverremo con una segnalazione alla commissione deontologica”. Dichiarazioni rilasciate senza aver avuto il minimo dubbio sulla attendibilità della pseudo-inchiesta e soprattutto senza avere neanche la cortesia di chiedermi anche informalmente delucidazioni. Nella Newsletter dell’11 gennaio 2008 dell’Ordine degli Psicologi del Lazio è invece possibile leggere: “L'Ordine degli Psicologi del Lazio, in data 9 gennaio 2008 ha chiesto al CNOP l'inserimento di un punto all'ordine del giorno per sottoscrivere un documento che prenda una posizione netta e decisa disconoscendo qualunque trattamento mirato a modificare l'orientamento sessuale del paziente. […] “; viene quindi fatto riferimento all’intervista apparsa su Liberazione precedentemente citata per poi affermare “Il sentimento di profondo sgomento è nato dal constatare che oggi nel nostro Paese non solo vi sia chi promuove la guarigione dall'omosessualità, ma che sia ancora aperto un dibattito che avrebbe dovuto essere superato da tempo. […] Sentiamo che è questo il momento giusto per muovere azioni precise affinché principi così fondanti della libertà personale e della convivenza civile siano difesi dall'intera comunità scientifica italiana sull'esempio di quanto già avvenuto negli Stati Uniti. Le associazioni degli psichiatri e degli psicologi americani infatti hanno sentito il bisogno di produrre un documento (Position statement on therapies focused on attempts to change sexual orientation-Reparative or conversion therapies) per disconoscere qualunque trattamento che induca il paziente a modificare l'orientamento sessuale”. Come sarà facile dimostrare nel paragrafo successivo,la Zaccaria appare perlomeno non informata correttamente proprio sul documento che cita (e che riporterò ampiamente successivamente), ma al di là di questo le sue affermazioni sembrano non tener conto minimamente la realtà dei fatti e soprattutto le già pubbliche precisazioni da me fatte e ormai riportate correttamente da tutti gli organi di informazione. Infatti entrambe queste dichiarazioni sono state fatte senza tenere in considerazione né le mia smentita apparsa persino su Liberazione, né le mie precisazioni apparse sia vari quotidiani e diffuse da numerose agenzie, nonché da catene spontanee in tutta la Rete. Dopo le mie rimostranze, la Zaccaria, questa volta con estrema correttezza, in data 15 gennaio, invia una Newsletter straordinaria nella quale afferma “Ad integrazione della precedente @Newsletter (n. 2 del 11 gennaio 2008) riteniamo doveroso riportare il punto di vista del Dott. Cantelmi, così come espresso dallo stesso nel suo articolo pubblicato sul quotidiano "Avvenire" il 10 gennaio 2008, e precisiamo che i fatti esplicitati dai media restano ovviamente tutti da acclarare”, fornendo quindi il link dell’Associazione Italiana Psichiatri e Psicologi Cattolici dove poter trovare le varie dichiarazione da me rilasciate. Ne apprezzo il coraggio e la correttezza, ma mi chiedo: perché tanta fretta iniziale e soprattutto tanta superficialità? Ritengo che un Ordine Professionale non avrebbe dovuto assumere una posizione così forte minacciando indagini e provvedimenti, senza che nessun fatto fosse stato ancora verificato, senza aver prima preso in considerazione le varie smentite, senza aver adeguatamente letto l’inchiesta in questione nella quale, come visto, già si evincevano evidenti contraddizioni, macchinazioni e falsità. Ritengo altresì che un Ordine Professionale avrebbe dovuto porre più attenzione a chiamare in causa il rispetto di un articolo del codice deontologico, il quarto, a tutela dei diritti di una categoria di persone, quando proprio il rispetto di tale articolo, in particolare in riferimento all’autodeterminazione del paziente e al rispetto dei suoi valori religiosi, contraddice proprio quanto l’Ordine vuole sostenere, come avrò modo di dimostrare nel dettaglio fra poco. Credo che un Ordine Professionale, nel rispetto degli articoli 33[6] e 36[7], avrebbe dovuto tutelare maggiormente gli psicologi accusati, non minacciando o attuando indagini esclusivamente a partire da quanto scritto da un giornalista su un quotidiano. Avrebbero dovuto mantenere lo stesso rispetto anche tutti quegli altri psicologi che, nei vari forum, hanno espresso accuse e condanne. Inoltre, mentre alcuni giornalisti hanno segnalato che l’inchiesta di Liberazione è stata condotta con modalità deontologicamente censurabili, i rappresentati dell’Ordine degli psicologici non hanno minimamente preso in considerazione la qualità dell’inchiesta stessa, assunta come una verità inconfutabile. In merito al documento citato nella Newsletter dell’Ordine degli Psicologi del Lazio (Position statement on therapies focused on attempts to change sexual orientation-Reparative or conversion therapies) sarebbe stato opportuno fare alcune precisazioni. Il documento è stato prodotto solo dall’American Psychiatric Association, e in esso si può leggere “[…] the American Psychiatric Association opposes any psychiatric treatment […] which is based upon the assumption that homosexuality per se is a mental disorder or based upon the a priori assumption that a patient should change his/her sexual homosexual orientation”, e inoltre “Although there is little scientific data about the patients who have undergone these treatments, it is still possible to evaluate the theories, which rationalize the conduct of "reparative" and conversion therapies”. Nello stesso documento sono inoltre presenti le seguenti tre raccomandazioni: a) “APA affirms its 1973 position that homosexuality per se is not a diagnosable mental disorder”, b) “As a general principle, a therapist should not determine the goal of treatment either coercively or through subtle influence”. c) “The "reparative" therapy literature uses theories that make it difficult to formulate scientific selection criteria for their treatment modality. […] APA encourages and supports research in the NIMH and the academic research community to further determines "reparative" therapy's risks versus its benefits” (American Psychiatric Association, 2000). In tale documento non è presente un disconoscimento in assoluto dei trattamenti volti a modificare l’orientamento sessuale del paziente, ma solo di quelli che partono dagli assunti che l’omosessualità sia per se un problema e che il paziente, a priori, debba modificare il proprio orientamento omosessuale. Viene inoltre incoraggiata e sostenuta la ricerca da parte del National Institute of Mental Healh e della comunità di ricerca accademica al fine di determinare rischi e benefici della terapia riparativa. Dall’articolo pubblicato da Liberazione, trascurando tutta l’involuzione mediatica ed ideologica, sono comunque emersi tre temi di dibattito che vanno adeguatamente ricondotti all’interno di un dialogo squisitamente scientifico: la neutralità del terapeuta (e quindi il rapporto tra i valori del terapeuta e quelli del paziente), il rispetto dei valori religiosi del paziente, l’orientamento sessuale egodistonico ed il suo trattamento. Ritengo opportuno iniziare da quest’ultimo punto, il più controverso e soggetto a derive ideologiche, come dimostrato per esempio dalla superficialità di alcune dichiarazioni di pur autorevoli psicologi. [5] “Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate”. [6] I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche. [7] Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale.