07/02/2019

Famiglia tra parole e realtà

Edizioni Aracne, collana Pluralities n.14

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Prefazione di Tonino Cantelmi
Realtà e parola sono inscindibilmente legate. La parola forgia la realtà, la arricchisce di significati e sfumature e, se utilizzata in maniera impropria, rischia di creare scenari erronei, illusori, che non hanno un vero contatto con la realtà.
Ritrovare la corrispondenza tra parola e realtà, dunque, non deve essere, come si potrebbe pensare, solamente oggetto di profondi studi filologici e filosofici, ma deve riguardare da vicino tutti gli individui del nostro tempo. Si tratta, infatti, di un’urgenza che richiede attenzione e cura: quella di capire la società attuale, il significato degli eventi che la coinvolgono e delle modificazioni che ha subito e che tuttora sono in atto. La società in cui viviamo, infatti, è tecnoliquida, mutevole, cangiante ed incessante e, insieme ai tanti progressi che la caratterizzano, porta con sé anche confusione e ambiguità. Come scrive Daniela Bandelli, questo libro è un contributo che si propone di arginare l’opera di decostruzione della conoscenza, cioè di disambiguare tanti concetti e fatti di interesse attuale a cui è necessario che venga restituito un significato univoco, senza più mistificazioni, volute e non, da parte dei media.
Si tratta di un’opera caleidoscopica, multidimensionale, che si sviluppa su più livelli offrendo contributi sociologici, psicologici, biologici, e antropologici, per fornire non solo un quadro dettagliato e completo delle trasformazioni che stanno avvenendo in questo tempo, ma anche una chiave di lettura di esse che sia il più possibile fedele alla realtà.
Un fenomeno al quale stiamo assistendo in quest’epoca è, senza dubbio, quello dell’individualizzazione, cioè di un progressivo virare di ciascun individuo verso derive narcisistiche, con la conseguente perdita della capacità di condivisione autentica con l’altro, ponendo sé stesso al centro, anche al caro prezzo della solitudine. C’è infatti, nella società attuale, uno strano paradosso: la sovraesposizione sociale, a cui è sottoposto l’individuo da parte del mondo virtuale dei media, non limita il senso di solitudine del singolo, ma anzi lo accresce. Di questa progressiva individualizzazione è, in primo luogo, la relazione a risentirne; ciò accade perché, perdendo la sua dimensione oblativa nei confronti dell’altro, la relazione interpersonale si riduce a mero meccanismo di soddisfazione di bisogni. Un primo contributo di questo libro è un’attenta e sistematica rassegna teorica sulla relazione da un punto di vista sociologico e la proposta di un’interessante soluzione all’individualismo che permea il nostro tempo. Tali analisi aprono alla riflessione sulla provvisorietà e l’asimmetria che spesso caratterizzano le relazioni e sulla conseguente necessità di tornare a relazioni incondizionate, che non nascano dall’esigenza di soddisfare dei bisogni. L’originale suggerimento per riscoprire l’affetto disinteressato prospettato in quest’opera è quello di orientare le relazioni ai valori di condivisione e coesione di cui sono ancora portatrici le altre etnie presenti nel nostro paese, per ritrovare la possibilità di relazioni autentiche, in un’ottica multiculturale.
Un’altra importante considerazione contenuta in quest’opera è che è all’interno della famiglia che risuona maggiormente la crisi che affrontano gli uomini e le donne dell’epoca attuale, che non si verifica soltanto a livello relazionale, ma può invadere anche quello istituzionale, quando si procede a separazioni legali.
A tal proposito, è di grande interesse la riflessione di Valentina Morana sui significati evocati dalla parola “minore”, utilizzata comunemente in ambito giuridico; proprio a riprova del fatto che pensiero e parola sono strettamente connessi, l’autrice sottolinea come questo aggettivo, a suo parere utilizzato impropriamente come sostantivo, denoti una condizione di inferiorità e debolezza che va oltre il puro dato anagrafico, quasi a voler suggerire una minore (appunto!) importanza della persona in questione. «Li chiamano minori e da tali vengono trattati» scrive Valentina Morana, quando invece proprio perché piccoli e più indifesi avrebbero bisogno di ancora più attenzione e cura da parte del sistema legislativo.
Un’ulteriore parola presentata in quest’opera come foriera di confusione per la strutturazione del pensiero è “femminicidio”. Secondo Daniela Bandelli, questa parola può trarre in inganno e indurre a sovrastimare la quantità di omicidi che hanno una massiccia componente relativa al genere della vittima. L’autrice sottolinea l’ambiguità semantica del termine “femminicidio” che, se da un lato ha assunto una connotazione politica a partire dal 2006 all’interno del movimento femminista, indicando omicidi orientati allo scopo di uccidere una donna in quanto donna, dall’altro questo termine è comunemente utilizzato per intendere le uccisioni di donne, a prescindere dalle motivazioni dell’atto. L’autrice definisce tale ambiguità media friendly perché consente di fare uso di una parola dal forte impatto emotivo, e afferma che non tutti gli omicidi di donne possono essere definiti “femminicidio”, altrimenti si rischia di illustrare scenari che non corrispondono alla realtà fattuale. Molto attuale è anche lo studio critico e la relativa documentazione inerenti al concetto di identità e al dibattito esistente sulla possibilità che essa, a livello psicologico, possa essere o meno indipendente dal dato biologico determinato alla nascita.
Questo libro presenta, inoltre, considerazioni in chiave critica sullo sviluppo psicosessuale, e sulla possibilità che alcuni programmi didattici che mirano a sessualizzare precocemente le esperienze dei bambini possano complicarlo. Basando la riflessione sulle teorie psicologiche che vedono tale sviluppo, da un punto di vista olistico, in complementarietà con le altre dimensioni dell’essere umano, si prospetta l’ipotesi che un precocismo nell’informazione e nell’esperienza sessuale impedisca una corretta elaborazione cognitiva delle stesse. Questo lavoro composito, in conclusione, intende riaffermare con vigore la dignità irrinunciabile dell’essere uomo e dell’essere donna, dell’essere bambino e dell’essere bambina, nel tentativo di arginare il relativismo e l’ambiguità che minacciano fortemente lo statuto ontologico della persona.