08/10/2008

La vita oltre i manicomi

La vita oltre i manicomi di Silvia Manzani  

Il disagio mentale a 30 anni dalla legge Basaglia Il sociale oggi
 

Al posto delle catene e delle camicie di forza oggi c’è il boom degli psicofarmaci. E, qualcuno ha proposto guardando all’indietro, potrebbe tornare la pratica dell’elettroshock. Qualcosa è cambiato dalla famosa legge Basaglia che chiuse a doppia mandata i manicomi italiani? La malattia mentale, tolti di mezzo i manicomi, è stata risolta o per lo meno affrontata a dovere? Difficile fare sì con la testa. La psichiatria non naviga in acque tranquille. Basta guardare come alcuni gruppi volontari sparsi per lo stivale (non solo Scientology, per la precisione) si stiano battendo per avvertire dei danni provocati dai trattamenti in questione, arrivando a sostenere e provocare che la psichiatria dovrebbe essere abolita come specializzazione medica a livello universitario. Un’aberrazione? Piuttosto un’estremizzazione. Lo si capisce dalle parole di Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Aippc): “La psichiatria è una branca della medicina e tale deve rimanere, ben ancorata alle neuroscienze ed alle evidenze cliniche; siamo contro ogni posizione che ritenga che la malattia mentale sia frutto di cause sociali e che non si possa considerare una malattia: questa era la posizione della cosiddetta antipsichiatria, di cui oggi rimangono solo residui ideologici”. Nel caso dell’elettroshock, che di recente è tornato oggetto di diatriba occupando le pagine dei giornali, bisogna per esempio mettere i puntini sulle “i”. Oggi quella che in gergo viene chiamata terapia elettroconvulsivante non prevede né sedie elettriche, né legacci di cuoio, né elettricità a go go somministrata senza criterio. Piuttosto, apparecchi computerizzati, consenso del paziente e anestesia totale. La stessa Aippc non è bacchettona in materia. Tutt’altro: “La nostra posizione – continua Cantelmi - è quella della comunità scientifica: le terapie debbono essere validate scientificamente e se efficaci utilizzate in modo corretto. La Tec è una terapia utilizzata in tutto il mondo in alcune situazioni specifiche”.  La sostanza non cambia, potrebbe obiettare qualcuno. Fatto sta che un’alternativa è dura da trovare. Della serie, meglio che niente. Ma parlare con superficialità non è il massimo davanti ad un tema tanto scottante: perché se è vero che il modello Trieste, la città della rivoluzione di Basaglia, sembra funzionare bene, non tutto il mondo è paese. Quello che manca, stando a chi critica le applicazioni della legge 180, sono investimenti sulle strutture sanitarie e sul sostegno alle famiglie. “La legge 180 ha 30 anni, troppi – spiega il presidente dell’Aippc -. Nessun Paese al mondo ha imitato l'Italia: ovunque esistono gli ospedali psichiatrici. Si tratta di equilibrio: la 180 nacque in un clima ideologico e su presupposti scientificamente inadeguati. Ovviamente nessun ritorno indietro: no ai manicomi, ma sì a strutture psichiatriche anche di ricovero. Oggi ci sono tanti micro-manicomi: sono le famiglie dei malati mentali gravi, isolate e sole con il loro dramma”. Prendiamo Ravenna, una piccola città nel panorama nazionale: gli ultimi anni hanno visto una dura battaglia delle associazioni che si occupano di disagio psichico (familiari in primis) per ottenere un aiuto sostanziale nella riabilitazione psichiatrica e nell’inserimento sociale dei pazienti. Perché se i manicomi non esistono più (e per fortuna) dovrà pur esserci un’alternativa per quelli che un tempo – ma stando ai pregiudizi di molti, ancora oggi – vengono considerati i “matti”. Consapevole del preconcetto tuttora imperante, il ministero della Salute ha allestito un sito (www.campagnastigma.it) per spiegare che i disturbi mentali si possono curare. Tutto diverso dall’idea dei malati come pazzi rinchiusi nel circolo vizioso della loro stessa malattia. Del resto, oggi malattia mentale è un concetto ad ampio raggio che riguarda una buona fetta della popolazione: stando alle cifre dell’Organizzazione mondiale della Sanità, i disturbi mentali sono ai primi posti come carico di sofferenza e di disabilità per la popolazione. In uno studio nazionale recente, inoltre, è risultato che poco meno del 10%degli italiani soffre nell’arco di un anno di uno dei disturbi mentali più frequenti e più noti, come depressione e ansia. Senza contare le innumerevoli persone che, sebbene non considerate gravi dalle categorie mediche, soffrono di problemi psicologici che rendono difficile gestire la vita di tutti i giorni. Per restare nei numeri, si stima che circa il 3% della popolazione avrebbe bisogno di ricorrere a prestazioni di specialisti. Nel 2007, dato allarmante, è aumentata del 3,7 per cento la vendita di antipsicotici tipici, considerati meno tollerabili dall’organismo rispetto agli atipici, che sono invece in disuso. A fare accapponare la pelle è poi l’aumento della somministrazione di psicofarmaci ai bambini: vari soggetti, tra cui Acli, Agesc e Agisci hanno promosso la campagna “Giù le mani dai bambini”, contro la tendenza ormai diffusa in tutto il mondo occidentale. Si parla di 34mila bambini in Italia e 17 milioni del mondo sottoposti a terapie prolungate a base di psicofarmaci per risolvere problemi che forse andrebbero affrontati con metodi pedagogici ed educativi. Davanti al fenomeno l’Aippc ha le idee chiare: “Nessunosa con esattezza cosa succede quando un cervello in evoluzione viene trattato con farmaci: il dato scientifico non supporta l'uso degli psicofarmaci nell'infanzia”. Che cosa è rimasto, tirando le somme, della legge Basaglia? Un bel po’ di lavoro da fare. L’Aippc ne è consapevole: “Le strutture psichiatriche attuali appaiono non solo insufficienti, ma non in grado di corrispondere ai bisogni attuali. In alcuni casi obsolete. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sorta di clamorosa disattenzione. Il dibattito che si era acceso circa la necessità di modificare l’assistenza psichiatrica, si è spento ed è calato un agghiacciante silenzio. Ritengo invece che sin da ora sia necessario che quanti si candidano a condurre questo Paese verso una modernizzazione autentica, non trascurino la psichiatria e soprattutto le richieste di quanti soffrono”. La lezione di Franco Basaglia oggi sembra dunque ad un crocevia: l’esigenza di un’applicazione concreta che stenta a verificarsi da un lato e, dall’altro, una sensibilizzazione sempre più massiccia dell’opinione pubblica sul tema della malattia mentale. Ricorderete le parole “Mi chiamo Antonio e sono matto”, incipit della canzone “Ti regalerò una rosa” che ha fatto guadagnare a Simone Cristicchi il primo posto a Sanremo 2007. Ma i “matti” sono ancora “punti di domanda senza frase”. Dopo la rivoluzione del 1978, ebbene sì, ne serve un’altra. articolo pubblicato IL SOCIALE OGGI - anno 1 n° 2  - agosto 2008