09/11/2010
L'angoscia della morte e il suo significato
L’angoscia della morte è una realtà che dobbiamo affrontare tutti. Di fronte a questo problema è “normale” avere paura e diventare tristi: Cosa c’è dopo la morte? Perché proprio a me? Chi ha subito un lutto drammatico, un incidente devastante si è posto queste domande… G. Bassi e R. Zamburlin, referenti AIPPC sezione Lombardia, elaborano le idee di Drewermann che commentado il Vangelo di Marco prende come esempio la notte del Getsemani per analizzare il significato dell’angoscia di fronte alla morte.
L’ANGOSCIA DELLA MORTE E IL SUO SIGNIFICATO di Gianni Bassi e Rossana Zamburlin Drewermann, di cui elaboreremo le idee, commentando il Vangelo di Marco prende come esempio la notte del Getsemani per analizzare il significato dell’angoscia di fronte alla morte: “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andando un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”. Tornato indietro li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole…”. L’angoscia della morte è una realtà che dobbiamo affrontare tutti, di fronte a questo problema è “normale” avere paura, diventare tristi: Cosa c’è dopo la morte? Perché proprio a me? Chi ha subito un lutto drammatico, un incidente devastante si è posto queste domande… Ma di fronte alla morte, come si suol dire, siamo tutti uguali. Notate che anche Gesù chiede non essere lasciato solo, infatti è importante rimanere vicini a coloro che soffrono, innanzitutto i famigliari ( ovviamente questo vale anche per noi: se Gesù è andato in crisi, figuratevi noi… ). Non possiamo addormentarci ( non possiamo “chiudere gli occhi” … ), come hanno fatto i suoi discepoli: il nostro “dormire” potrebbe essere il nostro non renderci conto della sofferenza presente in noi, nei nostri famigliari, nei nostri amici, nei nostri utenti; il nostro non saper dare una risposta costruttiva, liberatoria, da qui l’esigenza di una formazione, supervisione e meditazione costante, perché i disagi, le sofferenze, la sintomatologia delle persone ( noi compresi ) sono complessi e ciascuno va alla ricerca della risposta che gli fa bene ( benessere = Essere Bene ); è anche vero che, a volte, ci è chiesto di stare vicini, condividere e basta, ma noi presi dal nostro “delirio d’onnipotenza terapeutico” di fronte alla morte, visto che non possiamo vincerla, fuggiamo, invece bisogna stare lì con affetto, con comprensione, con compassione, perdonando eventuali errori. La “carne è debole” significa che abbiamo delle resistenze, non si fida delle promesse di “vita eterna”, anche San Paolo dirà “vedo il bene e faccio il male”, come dire che una certa ambivalenza e una certa fragilità sono strutturali. Ovviamente tutte le resistenze, le ambivalenze e le fragilità vanno elaborare e risolte, anche se ci possono essere delle ricadute: un detto cinese dice “sette volte cadere, otto volte rialzarsi”, questa è la via della vittoria su se stessi… CHE SENSO HA LA MORTE? Perché proprio Gesù, il profeta dell’amore e della fiducia, di fronte alla morte viene sopraffatto da un’angoscia così profonda fino a sudare sangue, secondo il Vangelo di Luca, fino all’apparizione di un angelo che gli dà forza? Il filosofo Socrate, il ricercatore della verità, andò sostanzialmente sereno e disteso alla morte in mezzo ai suoi parenti e amici: egli diceva della morte che o era come un sonno senza sogni e quindi non c’era consapevolezza oppure era l’incontro con gli Dei e lui aveva delle cose da chiedere…Inoltre proclamava il detto: “Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”. Perché Gesù è afflitto da angosce del genere, quali sono i motivi? Nessuno può accettare ingiustizie, sofferenze, traumi e morte senza riconoscere significato e senso a questi colpi della vita ( questo è un punto in cui lavoro analitico e meditazione spirituale possono convergere ). Gesù sapeva che rischiava la morte, conosceva molto bene i suoi avversari e le manipolazioni di cui erano capaci, decise volontariamente di affrontarli, poteva scappare dove voleva prima di andare a Gerusalemme. ( Nel Getsemani Gesù condivide con noi il grande problema della morte: l’uomo nasce nel timore della morte – il trauma della nascita - vive una vita che va comunque verso la morte e i cui pensieri e azioni mirano ad evitare la morte, anche come paure delle malattie e della vecchiaia, che vengono “sedate” coi vari “elisir di giovinezza eterna”, lifting compreso…, ma il nostro compito di essere umani è avere il coraggio di incrementare la nostra fragile capacità d’amare, nonostante le nostre ferite, in quanto è l’amore che vince la morte nel senso che la integra, la comprende, la contiene. Solo l’amore è per sempre e ci dona la vita eterna… ). La fuga non era più una soluzione per lui, in realtà non lo è per nessuno. I “normali” meccanismi di difesa dell’io come il nascondersi, il ripiegarsi su se stessi, il non farsi vedere, il rendersi invisibili, il non esserci, ecc. non sono permessi a Gesù, a tutti gli altri forse sì, ma a lui no. Perché lui voleva che gli esseri umani, come aveva testimoniato con la sua vita, rivolgessero a Dio la loro fiducia e la loro fede per risolvere ogni angoscia, ogni situazione esistenziale in un modo così deciso, fermo e perseverante che la nostra personalità e il nostro cuore diventino per questo abbastanza vasti da essere capaci d’amare e di fare il meglio per sé e per tutta l’umanità. TESTIMONIARE L’AMORE In questo momento tragico tutte le preghiere che aveva recitato dovevano diventare un vuoto chiacchiericcio, un dire tanto per dire, un rituale formale e ossessivo? In gioco vi è, sull’esempio della vicenda di Gesù, il problema e il significato della storia nella sua globalità e di ogni storia “individuale”: se sarà mai possibile che noi uomini sappiamo contenere, comprendere, risolvere ogni situazione esistenziale, l’angoscia della morte e della vita ( l’angoscia è anche divisione in sé e dagli altri… ) per andare verso l’amore, la saggezza, la bontà, verso il meglio nel momento presente, senza prima di tutto difenderci, anche inconsapevolmente? Se per paura del potere e delle negatività degli uomini, fuggisse dall’arresto imminente e dalla croce, anche le sue parole sarebbero smascherate come vuote prediche domenicali, parole al vento. Gesù deve a se stesso e a tutte le persone di rischiare e di assumere su di sé la prova di qual è il potere che ha più forza nella psiche e nel cuore umani: la paura del potere aggressivo degli uomini o il timore di Dio, che non è paura ma rispetto dell’alleanza, adesione alla Sua volontà di liberazione per tutti, desiderio di unione con Lui; in termini psicanalitici è seguire l’istinto di morte o l’istinto di vita ( Thanatos o Eros )? L’AMORE E’ UN’ILLUSIONE? Con l’angoscia di Gesù è come se fosse crollata tutta la fiducia nella propria capacità di percezione, la propria capacità di amare, la propria capacità di valutazione e non perché si sia scoperta una verità più alta, con cui si potrebbe familiarizzare dopo che si sono scoperti gli errori del passato, ma perché si riconosce amaramente che era falso tutto ciò per cui si era vissuto o per cui si voleva vivere. Non c’è niente che parli di Dio, niente che parli a favore di Dio, quando l’AMORE si rivela un’illusione. Senza amore tutte le cose del mondo sembrano spogliate della loro essenza e perfino gli esseri umani sono come morti, sembrano come degli “zombi”, cioè come morti viventi. In un tale mondo disanimato e morto dove vale solo la fredda legge economica non c’è più un luogo in cui l’amore divino si faccia conoscere. Hanno sostanzialmente ragione tutti coloro che non hanno mai potuto credere che esista un cielo visto che hanno già sperimentato la terra come un perfetto inferno, infatti si può dire che l’angoscia è l’inferno e il potere e la divisione sono il diavolo. Gesù non voleva che la disperazione, la freddezza della solitudine, il senso di futilità di tutto, il vuoto dei rapporti economici e strumentali, la rabbia delle modalità di potere aggressivo fossero le ultime esperienze che ci restano della vita; egli diceva e faceva il contrario richiamandosi a Dio e sperando di liberare e trasformare l’esistenza umana. Ma ora che parla soltanto il dolore e spesso di fronte alla morte, alle disgrazie, alle nevrosi e alle psicosi le persone perdono la fiducia in sé, nei preti e negli operatori, perché vengono presi dall’impotenza che “non c’è niente da fare…”, lo stesso Gesù, eccolo là, come un ridicolo sognatore ad occhi aperti; ha fatto una figura ridicola con tutta la sua fede nell’amore, con tutta la sua saccenteria di un altro mondo e di un altro potere oltre la violenza umana, cioè di tutte le manifestazioni del potere persecutore. Tutte le visioni ed i messaggi divini non sono che menzogna e leggenda ( oppio per il popolo ), un pio ingrediente per le persone che non sopportano la tragicità del fallimento e che preferisce ingannarsi piuttosto che sopportare la verità della morte e che tutto finisce, “tutte storie” dicono i realisti e i positivisti coi piedi per terra. Eppure alla fine proprio chi dispera, chi è in fondo al pozzo, può avere anche la sensazione che la causa di questa sua perdita dell’amore e di Dio sia soltanto la propria debolezza, la propria impotenza: lo avrebbe abbandonato l’amore e Dio se lui non si fosse arreso? E il suo disorientamento, il suo smarrimento e la mancanza di senso non è forse la logica conseguenza del non essersi custodito e curato, nel corpo, nella mente e nello spirito? Tutto dipende dal fatto di sviluppare la propria umanità, la propria essenza; quante energie sprecate a curare la propria immagine, a far finta di essere normali o, peggio, a far finta di essere perfetti! In questa notte, racconta il Nuovo Testamento, Gesù ha pregato Dio, il padre suo, di allontanare, se possibile, da lui il calice; di trovare una strada senza la sofferenza e senza l’angoscia, un sentiero verso l’amore e la verità senza dolori e senza frustrazioni. Dopo questa notte sul monte degli olivi è certo che una strada del genere non ci sarà mai, che noi, per sempre, impareremo ogni brandello di maturità e saggezza dagli sbagli, dalle opposizioni e dalle tragedie della vita, e che è vero che la gioia ha inizio sempre soltanto al di là delle lacrime e dall’angoscia. Ogni volta che ci troviamo sull’orlo dell’abisso ci tortureremo il cervello ( si va dallo “strizzacervelli”, come si suol dire… ), cercando di capire dove abbiamo sbagliato o dove ci hanno fatto sbagliare; e conquisteremo la serenità, la maturità a condizione di attraversare le ferite, i conflitti, i traumi fino ad arrivare al perdono sia degli altri che di se stesso ( ovviamente è anche importante ricordare tutti i momenti d’amore ). E’ certo che chi combatte efficacemente deve “abbattere”, attraverso il contenimento, l’interpretazioni e nuove modalità di rapporto, i reticolati di filo spinato, i muri, le pareti del carcere, che l’angoscia, attraverso i meccanismi di difesa dell’io, ha eretto, e ogni sua parola sarà presa come un’enorme sfida, spesso equivocata. LA LIBERTA’ E LA LIBERAZIONE DEGLI ESSERI UMANI Uno che, come Gesù, aspira alla libertà dell’essere umano, di tutti gli esseri umani, si trova spesso ad essere controparte di coloro che considerano più importanti tutti gli altri interessi possibili, come il denaro e la considerazione, il posto fisso e la carriera, l’immagine esteriore e il potere in tutte le sue manifestazioni, e che, per questi motivi, arrivano alla conclusione, anzi, sentono il dovere di abbassare le persone a strumento dei loro scopi o delle loro necessità “oggettive”. Né la preoccupazione per l’oggi e per il futuro, né l’attaccarsi avidamente e compulsivamente a tutte le apparenti sicurezze dietro le quali le persone si trincerano, né i tentativi sempre nuovi di soffocare la verità e la benevolenza sono necessari per delle persone che confidano in Dio, in quanto avendo Dio, non perdono nulla, perché hanno il tutto… Ce l’hanno con lui perché ha amato sconfinatamene; dobbiamo dire che spesso non è vero che alle persone interessa l’amore, la liberazione, il benessere fisico, psicologico e spirituale, la guarigione, sembrano più attratte dal negativo, dal controllo sugli altri e dalla malattia, da cui ricavano vantaggi secondari. Ce l’hanno con lui, perché la sua speranza e la sua dolcezza sono così immediate e vicine; e si ergono contro la rassegnazione, l’impotenza, a tutte le quotidiane, assurde, invivibili torture obbligate, per mezzo delle quali noi non facciamo vivere noi stessi ( spesso il “nemico” è dentro di noi… ) e non permettiamo neppure di vivere a chi sta al nostro fianco. Egli voleva che l’amore pervadesse la vita come un canto; contro questa smanceria si leva il coro dei fischi, si levano le urla scomposte di scherno, gli atteggiamenti burocratici, freddi, distaccati; i ruoli divisi e rigidi. Che ne sarà degli esseri umani, se sono capaci di eliminare, reprimere e calpestare in brevissimo tempo quanto di più prezioso viene dato loro, come qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere? Non ci protegge il fatto che noi stessi aggrediamo e attacchiamo gli altri solo perché non siano gli altri a farci affronti: la miglior difesa è l’attacco… E’ possibile vivere camminando orgogliosamente diritti, e perfino la morte, intesa così, non è in contraddizione con la vita, non è nemica. La paura di Gesù era necessaria per farci capire che è soltanto la paura, in particolare la paura della morte, che ci impedisce di essere vivi, veri, autentici, trasparenti. Queste ore nel Getsemani erano indispensabili per mostrarci che non ci deve più essere nessuna paura ( l’istinto di morte va trasformato in istinto di vita ), che ci possa separare da noi stessi, dagli altri e da Dio. BIBLIOGRAFIA G. Bassi e R. Zamburlin, I sentimenti nel rapporto di coppia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo ( MI ), 2001. E. Drewermann, Psicanalisi e teologia morale, Ed. Queriniana, Brescia, 1994. di Gianni Bassi e Rossana Zamburlin (AIPPC - 09 novembre 2010)