16/12/2008
Commento all'articolo di prof. Cruciani
Commento all'articolo di prof. Cruciani di Daniele Mugnaini* Ho trovato particolarmente stimolante l’intervento, riconoscendo in esso un ammirevole sforzo di rispettare l’interlocutore senza rinunciare a portare avanti personali convinzioni. Vorrei provare a fare altrettanto.
Cruciani riprende il Codice deontologico, per definire obiettivi imprescindibili di un intervento dello psicologo: il benessere individuale e comunitario, la conoscenza di sé (quello che la psicologia può dire dell’uomo, in termini generali o personali, a partire da fonti e riferimenti “scientifici”), far prendere consapevolezza di motivazioni sottostanti ai propri comportamenti. C’è da rispettare poi il primato dell’impegno etico a rispettare la libertà altrui di opzione valoriale. Condivido che tali elementi costituiscono obiettivi sovra-ordinati di ogni psicoterapia, e che compito primario del terapeuta è quello di lasciarsi guidare dall’imperativo etico di perseguirli, senza pregiudizi, omologazioni, subdole pressioni o imposizioni, e senza la superficiale convinzione che la condivisione di un’etichetta (“ateo” o “cattolico”, che sia) assicuri di per sé la soddisfazione di tale imperativo. Ricorda poi come in ciascuno ci sia una molteplicità di istanze, un piano di consapevolezza (Io), con i suoi desideri (ad es. di aderire a valori), e un piano di inclinazioni, che possono entrare in contrasto con l’Io, e come ci sia bisogno di maturare nuove forme di armonizzazione, che implichino la trasformazione dell’Io o delle inclinazioni (raccogliendo la spinta alla maturazione che viene dall’Io o dall’inclinazione). Aggiunge giustamente che il terapeuta non deve omologare a categorie, né incasellare in una cornice interpretativa “patologica”, e che deve intercettare e far prendere coscienza al paziente di un eventuale timore di esprimere parti di sé che gli sembrano minacciare la relazione con il terapeuta stesso (fa parte dei processi di transfert da monitorare e analizzare). Entra poi nel merito di quello su cui l’ AIPPC sta da tempo puntando l’attenzione. Il terapeuta inevitabilmente propone valori. Tuttavia non può entrare in aspetti troppo strettamente connessi con l’esperienza religiosa, spirituale e valoriale, sconfinando nell’insostituibile funzione del sacerdote e del direttore spirituale. Arriva quindi il mio contributo alla discussione. Le diverse visioni del mondo e i diversi sistemi di valore che organizzano la gerarchia delle opzioni etiche hanno a che fare con gli obiettivi- guida ultimi del processo trasformativo/maturativo che la terapia intende promuovere. Tali visioni e sistemi hanno a che fare con l’ accezione da dare agli obiettivi prima elencati, di promozione di benessere personale e comunitario, di libertà e verità su di sé e sulle istanze che ci muovono. Non tutti infatti intendono la stessa cosa con tali termini. In assenza di neutralità, prender coscienza dei valori che informano le proposte terapeutiche e “proporli” o comunque solamente esplicitarli, diventa un altro obiettivo sovraordinato (che, si sa, rimarrà sempre limitato e parziale). Non si tratta di uno svelamento inziale, ma di una presa di coscienza e di una condivisione progressive, in itinere, quali elementi maturativi “a due”. Quando Cruciani dice che l’“impossibile neutralità” può solo essere sostituita dal drammatico e continuo sforzo per riuscire a capire e a rispettare l’ altro, ci pare che faccia un’affermazione in sé contraddittoria (impossibilità di prescindere da o possibilità di sostituirla?). L’ impossibile neutralità può e deve perdere l’accezione di scomoda verità (che non può comunque essere sostituita!) ma deve piuttosto essere riassunta dal processo terapeutico, forse assumendo un ruolo prioritario: cogliere dietro a ogni riflessione, motivazione e comportamento (sia riportati dal paziente, sia suscitati nel terapeuta) i “valori” sottostanti, ossia la collocazione nel sistema di valori di ciascuno dei due, libera la relazione dall’aspetto subdolo del chiedere o dare proposte valoriali e mette a disposizione dei due una riflessione personale in un clima rassicurante di una (misericordiosa) sospensione di giudizio. Il terapeuta cercherà di discernere ed esplicitare all’occorrenza quali aspetti valoriali che emergono in terapia sono condivisi dal codice deontologico, quali dalla propria teoria psicologico-personologica di riferimento, quali dalla cultura occidentale dominante (es. contro pedofilia), quali da una cultura specifica (ad es. cattolica), quali dal sistema personale. Lo psicoterapeuta aiuterà il paziente a rendersi conto quando ciò che porta in psicoterapia è in parte guidato da valori, più o meno condivisibili, o dalla ricerca del paziente di ricevere conferme o consigli/direttive in questo ambito. E a quel punto lo psicologo, seguendo il codice deontologico, che invita a riconoscere i propri limiti (e, diremmo, a rinunciare a un eventuale senso di onnipotenza), rinuncerà a mischiare psicoterapia e direzione filosofico(spirituale). Per quanto riguarda la questione “E’ l’Io da modificare o lo sono altre istanze motivazionali percepite come egodistoniche?”, è indubbio che la risposta sarà diversa a seconda sia del singolo caso sia dei diversi piani psicologici coinvolti, e che dovrà essere il frutto di una scelta personale. Questo però non risolve il rapporto delicato che una tale domanda ha con i criteri (=valori) di scelta. Tali valori guidano la persona a cercare o trovare una risposta in modi diversi. Le mosse psicoterapiche sono informate da determinati valori personologici e filosofici (relativi, lo ripeto, ai concetti di benessere personale, libertà, bene altrui, ecc.). Siamo sicuri di volere che lo psicologo “venda” prospettive filosofiche e valoriali come frutto della scienza? Non è forse elemento che promuove psicologicamente l’auto- consapevolezza e l’autonomia quello di aprire la riflessione del paziente a un piano umano e imprescindibile come è quello filosofico- valoriale (ed eventualmente spirituale), ambito di opzioni e credenze da cui la consulenza psicologica non può prescindere nel momento in cui contratta un qualsivoglia obiettivo (fosse anche parziale e provvisorio, o perfino in parte sfumato)? Condivido l’auspicio finale, che il processo terapeutico possa favorire “la capacità di incontrare persone con valori e angosce diverse”. Riteniamo che questo possa far nascere in entrambe le parti il desiderio e la disponibilità a sviluppare nuovi valori, quali “l’amore al diverso”. * Daniele Mugnaini (Presidente AIPPC Toscana)