08/07/2010
Cantelmi: uscire dalla crisi recuperando il senso della vita - Totus Tuus n. 1
Ci si chiede in diversi momenti della nostra vita per quale motivo viviamo e moriamo, chi è Dio e a cosa serve la fede... Abbiamo chiesto un parere su questo argomento al presidente dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici, Tonino Cantelmi.
Di Francesco Indelicato Pubblicato su Totus Tuus n. 1 Mag/Giu/Lug. 2010 Un tema sempre più attuale approfondito nella Fides et ratio riguarda il rapporto dell'uomo con la sua esistenza. Inevitabilmente c «Ogni uomo - afferma Giovanni Paolo II - è in certo qual modo un filosofo e possiede proprie concezioni filosofiche con le quali orienta la sua vita. In un modo o in un altro, egli si forma una visione globale e una risposta sul senso della propria esistenza: in tale luce egli interpreta la propria vicenda personale e regola il suo comportamento». I giovani in particolare tendono oggi a non soffermarsi troppo su queste domande, spinti da una mentalità che pone l'attenzione solo sul presente. Abbiamo chiesto un parere su questo argomento al presidente dell'Associazione Italiana psicologi e psichiatri cattolici (AIPPC), Tonino Cantelmi, che può testimoniare in virtù della sua esperienza sul campo quali siano le dinamiche e le conseguenze della nostra società attuale. In più punti della Fides et ratio si parla delle domande di senso. «A prima vista - scrive Giovanni Paolo II - l'esistenza personale potrebbe presentarsi radicalmente priva di senso». Sembrerebbe che i giovani oggi si fermino a questa prima fase della ricerca. Lei è d'accordo? La richiesta di senso è fondante per la persona. Tra gli adolescenti del nostro tempo i comportamenti suicidali sono la prima causa di morte. La soppressione della domanda di senso che viene messa in atto ha delle conseguenze gravi, anche nel mondo degli adulti, visto che un adulto su cinque nel mondo ha bisogno di cure psichiatriche. Nel 2020 la depressione sarà la prima causa di invalidità al mondo. Questa situazione ci deve interrogare. Prevale il paradigma della liquidità: l'uomo non può guardare né al proprio passato né al futuro, ma solo al proprio sentire nel presente, alle sue necessità del momento. Così che non ci si può chiedere più "perché" ma soltanto "come", e in questo contesto ha senso solo il provare emozioni forti. Cosa non va nello specifico e quali vie di uscita si possono pensare? C'è quasi un obbligo a vivere solo una parte della realtà. Chiaro che questo paradigma della liquidità deve essere superato. Di fronte a certe aspettative di felicità, in un mondo dominato dal benessere, i risultati sono sempre inferiori a quelli che ci aspetteremmo. La maggior parte dei ricercatori pensa che la felicità non sia legata all' avere molte possibilità. Un uomo può avere davanti a se mille scelte, ma non è la complessità delle opzioni a disposizione che rende l'uomo felice, quanto l'avere un criterio nella scelta. Quindi l'uomo nella nostra società può fare quasi tutto ed è sempre più infelice. E tanti studi sul benessere tendono a confermare questo dato. La dimensione del senso e del significato non può essere scippata all'uomo. Solo tenendo fermo questo punto si può uscire da questa crisi. Il Papa sosteneva che di fronte al dato sconcertante della morte si impone la ricerca di una risposta esaustiva. Qual è il rapporto dei giovani con la morte? Quali dinamiche li spinge spesso a sfidarla? Dopo il tabù della sessualità oggi bisogna uscire dal tabù della morte. L’ uomo oggi ha scelto da un lato di spettacolarizzare la morte: in Inghilterra ad esempio è capitato che una delle persone del Grande Fratello si è ammalata di cancro e ha deciso di vivere la sua malattia in diretta. L’ altro modo è quello di sfidare la morte credendo così di controllarla, perché la tecnologia ci ha dato l' illusione di poter dominare la morte: accade soprattutto tra le fasce adolescenziali. La terza opzione per uscire fuori da questo tabù è ritenere la morte come una libera scelta dell'uomo. È dunque l'uomo che si dà la vita o la morte. Per me la cosa più importante è recuperare la dimensione sociale della morte, assistere e accompagnare le persone che muoiono. Nella Fides et ratio si parla anche del rapporto tra l'uomo e la religione. Come vive oggi il giovane la propria fede? Quanto vive di credenze? Abbiamo uno studio in ambito cattolico e protestante secondo il quale il partecipare alla vita religiosa è un fattore protettivo per la salute mentale e per l'Alzheimer: nei giovani è un fattore protettivo nei confronti del suicidio e dei comportamenti antisociali. La maggior parte dei bambini, fino ai 12-13 anni mantiene alta la propria credenza religiosa. Questa percentuale decade nell'adolescenza, nella tarda adolescenza e nella prima età adulta, per poi essere recuperata negli anni successivi. Questo non ci deve spaventare, perché l'adolescenza e la giovinezza sono delle fasi tipiche dell'evoluzione dell'uomo in cui c'è ribellione, crisi, si mettono in dubbio le certezze del passato. Quanto più è autentico il valore che si vive nell'infanzia, tanto più riemergerà negli anni successivi. Oggi c'è un distacco maggiore della credenza in Dio rispetto a qualche anno fa. Comunque le statistiche dicono che i bambini ancora oggi mantengono il cento per cento di credenza. È vero che nell'adolescenza c'è un crollo ma è anche vero che rispetto al passato oggi c'è una grande autenticità tra quei giovani che vivono la fede. Il recupero poi è ancora più netto nell'età adulta. leggi l'Articolo in spagnolo, inglese, francese